#AESASpazio – Una libellula su Titano

L’esplorazione del cosmo è una storia che mette le sue radici decenni fa, con personalità ambiziose e missioni affascinanti. Nel tempo, il ruolo delle agenzie spaziali come la NASA è diventato quello di esplorare l’incognito alla ricerca dei segreti tenuti nascosti dai mondi che compongono il Sistema Solare, con lo scopo di portare a casa i risultati ottenuti per il beneficio di tutta l’umanità e della sua insaziabile curiosità. Tra tutti i corpi celesti che sono stati esplorati e analizzati, oggi ci concentriamo su un piccolo puntino a più di un miliardo di chilometri da noi: Titano, una delle innumerevoli lune di Saturno.

Non è la prima volta che Titano attira l’attenzione della comunità scientifica: già nel 2005 la sonda Huygens (che prende il nome dall’astronomo olandese che scoprì questa luna), staccatasi dal modulo Cassini orbitante intorno al sistema di Saturno, effettuò quello che ancora oggi è l’unico atterraggio di un veicolo spaziale su un corpo celeste del Sistema Solare esterno. All’epoca, le prime immagini  giunte a terra dalla superficie gelida di questo straordinario satellite naturale lasciarono a bocca aperta esperti e curiosi e permisero di scoprire una serie di informazioni fondamentali sulla sua storia e composizione. A distanza di quasi vent’anni, siamo in preparazione di una nuova missione che punta ancora alla superficie di Titano. Questa volta, tuttavia, non abbiamo intenzione di starci sopra soltanto 90 minuti, ma quasi tre anni, e il mezzo utilizzato sarà uno dei più originali mai impiegati in una missione di questo tipo: stiamo parlando di Dragonfly, un particolarissimo drone spaziale dotato di quattro paia di eliche coassiali che percorrerà, secondo i piani, un totale di 175 chilometri sopra il suolo di Titano, più del doppio della distanza fin’ora percorsa da tutti i rover marziani messi insieme.

Ma facciamo un passo indietro, concentrandoci sulle motivazioni che rendono proprio Titano uno dei luoghi più interessanti da studiare, e partiamo da alcuni dati: tra le più di 150 lune attualmente conosciute in giro per il Sistema Solare, Titano è la seconda più grande, con un diametro superiore a quello di Mercurio. È inoltre l’unica ad avere un’atmosfera abbastanza densa (il quadruplo di quella terrestre e con una pressione al suolo più alta del 50% rispetto alla Terra) da permettere a un essere umano di camminare senza aver bisogno di una tuta pressurizzata. Certo, non sarebbe una passeggiata semplice, date le temperature proibitive di -180 °C e la mancanza di ossigeno nell’atmosfera, una miscela al 95% di azoto e 5% di metano.

Quest’ultimo composto è il protagonista del dato più sorprendente di questo mondo ghiacciato: le temperature su Titano sono infatti abbastanza basse da trovarsi vicine al punto triplo del metano, e ciò rende la luna di Saturno l’unico corpo celeste oltre alla Terra nel Sistema Solare su cui si possono trovare fiumi, laghi e oceani, oltre a un ciclo di evaporazione e piogge. Per quanto riguarda invece l’acqua, essa è presente sul suolo, ma soltanto sotto forma di ghiaccio e ha lo stesso ruolo che le rocce hanno sulla Terra; si potrebbero immaginare in tal senso suggestivi fenomeni vulcanici nei quali le colate di lava sono formate proprio da acqua. Il resto della superficie di Titano è composto da regioni scure formate da dune di granelli idrocarburici il cui aspetto potrebbe essere non molto diverso dalle dune dei deserti africani.

A queste caratteristiche si devono aggiungere altri dati che hanno instillato grande curiosità presso la comunità scientifica per la loro peculiarità. Il rimescolamento molecolare causato dalle radiazioni ultraviolette negli strati esterni dell’atmosfera potrebbe essere alla base della formazione di molecole organiche, e le regioni sottostanti la crosta dura del satellite sono state confermate abbastanza calde da ospitare oceani di acqua liquida. Di conseguenza Titano è un luogo contraddistinto dalla presenza contemporanea di ambienti con caratteristiche terrestri e non, e ciò lo rende un luogo in cui è possibile allo stesso tempo una ricerca non solo sulla vita così come la conosciamo, ma anche in forme e misure a noi totalmente sconosciute allo stato attuale.

Ed è proprio qui che nasce la necessità di Dragonfly, basata sui convincenti risultati ottenuti da Ingenuity sul suolo marziano, che hanno promosso l’idea di velivoli a pale rotanti per l’esplorazione e la raccolta di campioni. Questo progetto permette infatti di fare ricerca non soltanto nelle immediate vicinanze del punto di atterraggio, ma anche in luoghi situati a svariati chilometri l’uno dall’altro, aumentando la varietà dei dati raccolti grazie all’esplorazione di zone la cui composizione è totalmente diversa. L’atmosfera particolarmente densa e la bassa gravità (un settimo di quella terrestre) renderanno il volo particolarmente semplice da gestire. Questo grosso drone spaziale, le cui dimensioni sfiorano i quattro metri in lunghezza e larghezza, dovrà seguire nel corso della propria missione un percorso che inizierà in una regione ricca di dune e si snoderà lungo una serie di brevi tratte di circa mezz’ora che verranno percorse con cadenza giornaliera (ma si noti bene che un giorno su Titano, che rivolge sempre la stessa faccia verso Saturno, equivale a 16 giorni terrestri) fino a raggiungere un antico cratere in cui si crede ci siano tracce di acqua un tempo liquida e un gran numero di sostanze organiche e, chissà, prebiotiche.

Tra gli strumenti a bordo figurano uno spettrometro di massa e uno a raggi gamma e neutroni per analizzare rispettivamente la composizione dell’aria e del suolo, una serie di sensori metereologici, un sismometro per monitorare l’attività sotterranea e varie fotocamere che permetteranno a Dragonfly di orientarsi in modo totalmente autonomo attraverso il terreno semisconosciuto di Titano, scegliendo di volta in volta la rotta più adeguata. L’energia necessaria sarà ricavata da una batteria al litio ricaricabile e i campioni scavati dall’apposito trapano verranno studiati all’interno del velivolo, adeguatamente riscaldato e protetto dall’ambiente inospitale esterno.

Tutto questo sembra pura fantascienza, ma è destinato a diventare realtà: la missione, inizialmente programmata per il 2026, ha subito al momento uno slittamento di un anno. Non resta quindi che aspettare il giorno in cui Dragonfly, dopo un interminabile viaggio di sette anni, si poserà sul suolo di Titano e inizierà a ronzare attraverso l’aria nebbiosa e fitta come un insetto della Terra preistorica.

A CURA DI
Mattia Mocci


FONTI
https://www.nasa.gov/dragonfly
https://solarsystem.nasa.gov/moons/saturn-moons/titan/overview/
https://dragonfly.jhuapl.edu/index.php