#AeroAESA – Volando oltre i limiti: North American X-15

Il mezzo di trasporto più veloce attualmente a nostra disposizione è senza dubbio l’aereo, con cui possiamo percorrere migliaia di chilometri in poche ore. Non tutti gli aerei, però, viaggiano alla stessa velocità: si spazia dagli ultraleggeri, molto lenti, ai caccia supersonici odierni. Ma qual è dunque il più veloce di tutti? Si tratta del North American X-15, il velivolo con pilota a bordo capace di raggiungere una velocità pari a Mach 6.7 (7274 km/h)! Detiene anche il record di altitudine massima raggiunta, avendo sfrecciato a ben 354200 piedi (107.96 km) sopra le nostre teste.

Nel 1954, il National Advisory Committee for Aeronautics discusse il bisogno di un velivolo con cui studiare gli effetti del volo ipersonico e nello spazio. Il comitato stilò le caratteristiche di progetto del futuro X-15, presentate in seguito ad Air Force e Navy a luglio del 1954. Una volta firmato l’accordo per la collaborazione sul programma a dicembre 1954, l’Aeronautica americana commissionò alla North American Aviation la produzione di tre esemplari.
L’X-15 Hypersonic Research Program iniziò nel 1959, con la consegna del primo prototipo alla High-Speed Flight Station della NASA, in California. Come si evince dal nome, questo programma ebbe il compito di sperimentare e raccogliere dati sul volo ipersonico (Mach > 5), una frontiera rimasta inesplorata fino ad allora.
L’X-15 ebbe grande successo: nei suoi 10 anni di attività volò 199 volte, coinvolgendo 12 piloti ed eseguendo in totale ben 28 esperimenti. In più di 765 reports vennero acquisiti dati riguardanti performance, stabilità, controllo, materiali, resistenza aerodinamica e trasferimento di calore.
Degni di menzione sono i test riguardanti la definizione dell’orizzonte e l’isolamento termico, i cui risultati vennero applicati nella strumentazione e nella protezione termica per il vettore Saturn delle missioni Apollo. Oltre al comportamento del velivolo, oggetto di studio fu anche la risposta del corpo umano ad una situazione di estrema tensione come quella del volo ipersonico: tra i dati fisiologici e psicologici raccolti, si è registrato un notevole aumento della frequenza cardiaca a riposo, causato dallo stress pre-lancio, arrivando ad oscillare tra i 145 e 185 battiti per minuto. La stessa frequenza si è rivelata costante nelle misurazioni successive eseguite sui futuri astronauti.

L’X-15 è stato un velivolo estremamente versatile: resistenza a velocità estreme e manovrabilità sia nella densa troposfera che nelle rarefatte mesosfera e termosfera erano le caratteristiche fondamentali necessarie per il suo corretto funzionamento. Per fare ciò, questo piccolo aereo con un apertura alare di soli 6.7 m era dotato di due sistemi diversi di controllo: nella prima parte del volo (quella ad altitudine maggiore), dei razzi a perossido d’idrogeno, montati sul muso, permettevano di agire su beccheggio e imbardata del velivolo; nella seconda parte, invece, poteva essere pilotato come un normale aereo, essendo dotato delle classiche superfici alari mobili.
A causa dell’immensa quantità di calore generata dall’attrito con l’aria, il rivestimento esterno dell’X-15 era in Inconel X, una lega composta principalmente da nickel e cromo. La cabina di pilotaggio invece era in alluminio, appositamente isolata dall’esterno per mantenere il pilota nelle condizioni ideali per operare.
Per quanto riguarda la propulsione, le prime versioni dell’X-15 montavano due motori XLR-11, capaci di produrre 72862 N di spinta, ma vennero in seguito sostituiti dai più potenti XLR-99 alimentati ad ammoniaca e ossigeno liquido, capaci di erogare una spinta massima pari a 253549 N.

Proprio a causa degli alti consumi del suo propulsore a razzo, l’X-15 non era in grado di decollare e portarsi alla quota richiesta in modo autonomo; veniva quindi trasportato da un B-52 Stratofortress fino a 45000 piedi di altitudine, per poi venire sganciato e iniziare la fase di accelerazione, la cui durata poteva variare tra gli 80 e i 120 secondi. Finito il carburante, l’X-15 planava fino a terra, atterrando su una piana salina (il Rogers Dry Lake) per via dell’impossibilità di sterzare con il ruotino anteriore e della presenza di slitte al posto del carrello posteriore.

Giungiamo ora al volo dei record. È il 3 ottobre del 1967, condizioni meteo ottime e il pilota statunitense William “Pete” Knight si prepara per un esperimento leggermente diverso: come per tutti gli altri 187 lanci precedenti, l’X-15 viene trasportato fino a 45000 piedi per poi essere rilasciato in aria. Knight accende i motori e sfreccia a tutta velocità in una spaventosa fase di accelerazione, fino a superare di 6.7 volte la velocità del suono, tanto elevata da danneggiare seriamente il velivolo. Il calore generato dall’attrito era molto più alto di quanto sperimentato fino ad allora, tant’è che il rivestimento esterno non ha funzionato come si sperava. Una volta atterrato, i problemi erano visibili ad occhio nudo: in alcuni punti, la superficie esterna era fusa, mentre altri componenti mancavano del tutto! Ma dunque, cosa accadde di diverso nel 188º volo dell’X-15 per ottenere delle prestazioni tanto incredibili? Semplicemente, la fase di accelerazione durò circa un minuto in più del previsto. Infatti, prima del decollo, al di sotto della fusoliera vennero montati due serbatoi con carburante aggiuntivo, che permise ai motori di rimanere accesi più a lungo.

Impossibilitato dai troppi danni subiti, l’esemplare pilotato da William Knight non tornò mai più in cielo, mentre i due restanti X-15 volarono ancora altre 11 volte. Si concludeva così l’X-15 Hypersonic Research Program, una pietra miliare che gettò le basi per l’esplorazione umana dello spazio, senza il quale, probabilmente, non avremmo mai assistito alla nascita dei programmi Mercury, Gemini, Apollo, e Space Shuttle.

A CURA DI

Matteo Bariz


Fonti: https://www.nasa.gov/centers/armstrong/news/FactSheets/FS-052-DFRC.html
https://www.nasa.gov/centers/langley/news/factsheets/x-15_2006_3.html