#AESASpazio – Da seme a pianta, come la lattuga conquisterà lo Spazio!

Quante volte ci troviamo davanti a fotomontaggi, scene cinematografiche o immagini generate da AI in cui vediamo della natura nello spazio o su altri pianeti? È davvero così facile piantare patate su Marte come Matt Damon o il mestiere del botanico spaziale richiede qualcosa di più? Nella realtà, coltivare qualcosa nello spazio è estremamente complesso. Con la prospettiva futura di viaggi a lungo termine, della durata di almeno un anno, l’alimentazione spaziale è un constraint critico per il progetto di missione umana. La ricerca si sta già muovendo, da anni, nello studio di metodi ottimali per ridurre al minimo il payload legato al cibo, con la conseguente necessità di essere autosufficienti nel grande oceano nero. È qui che ha inizio il lavoro dei biologi spaziali, figure che sviluppano soluzioni per ottenere delle magiche piantine aliene.

I limiti. Si è già dimostrato negli anni che le tradizionali piantagioni da campo, quali il grano, la soia, le patate e il riso, possono essere sviluppate in apposite camere di crescita in ambiente controllato. Sembra dunque un ottimo inizio per la ricerca, tuttavia il design delle missioni richiede requisiti specifici per ciò che si porta a bordo della stazione spaziale o dello spacecraft. Infatti, a bordo della missione lo spazio è limitato, la massa trasportabile è minimizzata e l’energia richiesta per sostenere un ulteriore ambiente controllato è troppa. Inoltre, per via della limitata attrezzatura da cucina si escludono automaticamente tutti i vegetali che richiedono una preparazione, andando a prediligere quindi verdure pronte da mangiare. Altro fattore importante da considerare è lo scarto, il quale va ridotto al minimo poiché non vi è modo di stivarlo o di eliminarlo. Per far questo, si riduce la gamma di scelta a piante il cui harvest index (percentuale di utilizzo della pianta) sia il più elevato possibile.

 

La scelta. La ricerca, attualmente, si è stabilizzata su un metodo schematico di selezione della pianta, basato su tre aspetti. Ognuno viene suddiviso in fattori primari, a risposta binaria, e fattori secondari, di importanza variabile da 0 a 1. Il primo aspetto che viene considerato è quello umano, dove i fattori primari sono la possibilità di mangiare o meno la pianta, il fatto che essa sia già pronta o sia da preparare e la possibilità o no che esistano alternative. I fattori secondari, il cui valore viene attribuito mediante studi statistici, sono l’appetibilità del vegetale (nessuno vuole dei broccoli spaziali!), il suo gusto, la sua consistenza e la sua piccantezza. Il secondo aspetto è quello
legato alla coltivazione, dove i limiti principali sono la reperibilità commerciale del seme, l’altezza della pianta, la possibilità di coltivarla in microgravità, la luce necessaria a crescerla e il tempo impiegato a ottenere del cibo. Ad aiutare il seme in esame a ricevere un biglietto di sola andata per il cielo vi sono fattori secondari quali la modalità di raccolta, il tempo dedicato alla coltivazione, la data di scadenza e la resistenza alle malattie. Infine, da buoni ingegneri, sappiamo benissimo che il terzo aspetto è il rendimento. Gli indici usati qui, tutti secondari, sono l’efficienza di produzione nel tempo e nello spazio, l’efficienza di utilizzo della luce e dell’energia fornita e il già citato harvest index. Grazie a un’accurata selezione preliminare, i concorrenti rimasti vengono valutati attraverso la formula della piantina perfetta, nella quale vengono inseriti tutti i parametri citati prima con dei pesi prestabiliti.

La corsa finisce e il risultato è più che chiaro. Al terzo posto vediamo una rigogliosa erba cipollina, classificata con un crop score di 6.0. Sicuramente si è distinta per l’elevato punteggio di resistenza alle malattie, per la rapida crescita e per il buon sapore. Al secondo gradino del podio si trova invece il ravanello con un crop score di 6.1, vegetale duraturo, di buona qualità ed efficiente. La pianta vincitrice è però la lattuga, con un punteggio di 7.6. I motivi sono molteplici: efficienza elevatissima, scarto minimo, coltivabilità ottima. Anche se il modello fornisce questi risultati, la scelta effettiva dipende però da missione a missione considerando anche altri fattori, come le tecnologie già disponibili (FEG, EDEN ISS, ISPR) e i nutrienti contenuti nei vegetali piantati.

L’influenza sull’astronauta. Un altro importante aspetto da non trascurare è l’effetto che i pasti hanno sull’astronauta. Il cibo inviato in missione, per la quasi totalità preconfezionato e associato a regimi dietetici con poca variabilità, ha un impatto psicologico importante sul lungo termine.
Tipicamente l’astronauta, nel periodo antecedente una missione, ha modo di provare molti “piatti tipici spaziali” e di stilare una lista di preferenza, ma questi si discostano parecchio da ciò che siamo abituati a mangiare. Il corpo umano inoltre reagisce alla microgravità con cambiamenti sensoriali, uno dei quali riguarda i recettori del gusto. Con la perdita temporanea e parziale dei gusti, si trova in una situazione ancora più complicata di quello a cui è stato addestrato. Il benessere psicologico per le missioni a lungo termine è un elemento chiave da considerare per non incorrere in problematiche derivate. Una delle soluzioni a cui si fa appello è proprio la possibilità di coltivare delle piante. Questa attività ha infatti un duplice scopo: riassociare le attività in missione con quelle tipiche terrestri e cibarsi di alimenti freschi. Fino ad ora però, la coltivazione a bordo della ISS è puramente a scopo scientifico e destinata a ricerche sui nutrienti, solo una minima parte del cibo prodotto viene consumata. Le evidenze che del cibo appena raccolto sia salutare anche per la mente sono però state raccolte e possono essere osservate ogniqualvolta un carico di rifornimenti giunge alla Stazione Spaziale Internazionale con la felicità degli astronauti. Scegliere cosa coltivare nello spazio è complicato e richiede uno studio accurato. Sicuramente i criteri e le metodologie sviluppate finora sono preferibili a una scelta di preferenza; tuttavia, il lavoro da fare è ancora ampio. La ricerca a Terra e sulla ISS saranno il primo passo verso questo grande mondo che è la botanica spaziale e aiuteranno un giorno a creare quei fantastici panorami biologici che per ora vediamo solo nelle migliori serie Sci-Fi. E magari un giorno coltiveremo le patate su Marte, chi lo sa.

A CURA DI
Luca Niero


FONTE:
http://hdl.handle.net/2346/67596

FONTE IMMAGINI:
https://www.nasa.gov/multimedia/guidelines/index.html