#AESASpazio - ESOPIANETI – Una possibile seconda casa?
- Edoardo Tamburrino
- 17 apr
- Tempo di lettura: 7 min
L’insormontabile desiderio umano di spingersi oltre i confini della propria conoscenza, ha permesso di prosperare nello sviluppo tecnologico e di rivoluzionare in pochi secoli la consapevolezza di ciò che c’è là fuori, nell’universo ignoto. Negli ultimi decenni, diverse missioni hanno mappato l’universo, rinvenendone i segreti più profondi, fino a risalire alle fasi primordiali del Cosmo. Dalle Colonne d’Ercole, quello che un tempo era il confine del mondo, siamo arrivati a captare l’eco del Big Bang: la radiazione cosmica di fondo. Ad oggi abbiamo finalmente un’idea di quali possano essere i suoi confini, la sua forma e gli oggetti che lo abitano.
Per dare una stima di quanto sia esteso l’Universo basta pensare che la Via Lattea conta tra i 100 e i 400 miliardi di stelle e l’Universo osservabile conta centinaia di miliardi di galassie. Se la matematica non ci inganna, il numero di stelle dell’intero Universo si aggira intorno ai 10^24, una quantità inimmaginabile. Maneggiando qualche formula, possiamo arrivare alla conclusione che se ogni stella dell’Universo fosse un granello di sabbia, potremmo racchiuderle tutte in una gigantesca sfera di sabbia con un diametro di 27 chilometri. In questo spazio immensamente esteso, la Terra è così piccola rispetto all’universo che la sua percentuale è uno zero seguito da 57 zeri prima di incontrare un numero diverso. A cosa servono questi numeri? A sottolineare che nell’infinità cosmica, pensare di essere unici è molto improbabile; e pensare che il pianeta in cui viviamo sia l’unico in grado di ospitare la vita, è allo stesso modo inverosimile. E se là fuori ci fossero altri mondi come il nostro? Quali sono le caratteristiche più nascoste dell’Universo e come si formano i sistemi planetari? Sono queste le domande a guidare oggi la ricerca sugli esopianeti.
Un esopianeta è un corpo celeste che orbita attorno ad una stella in un sistema solare diverso dal nostro. Gli esopianeti hanno caratteristiche simili ma anche molto diverse dai pianeti del nostro sistema solare. In particolare, esistono giganti gassosi (come Giove), giganti ghiacciati (come Urano) e pianeti terrestri; sono stati scoperti anche giovani caldi, cioè pianeti gassosi che orbitano molto vicino alla propria stella scaldandosi fino a migliaia di gradi e i cosiddetti super-Terre, fino a 10 volte più massicci della Terra. Esistono anche pianeti composti da materiali preziosi come il diamante (55 Cancri e) e pianeti dove hanno luogo scenari apocalittici sulle note del pianeta di Miller di Interstellar. Ad oggi, la ricerca ha confermato l’esistenza di oltre 7.400 esopianeti e numerose missioni spaziali, sia attuali che future, stanno ampliando costantemente questa mappa, con l’obiettivo di scoprirne di nuovi e analizzarli nel dettaglio.
Ipotizzati già nel XVI secolo dal filosofo Giordano Bruno, gli esopianeti diventano realtà solo alla fine del XX secolo. La prima scoperta risale al 1995, quando gli astronomi Michel Mayor e Didier Queloz individuano il pianeta 51 Pegasi b, in orbita attorno a una stella simile al Sole. 51 Pegasi b ha una massa pari alla metà di quella di Giove e, poiché molto vicino alla stella in cui orbita, è caratterizzato da temperature elevatissime, tanto da essere soprannominato “The Hot Jupiter”. Tale scoperta fu una vera pietra miliare nella storia dell’astronomia perché da quel momento, la ricerca di mondi lontani è diventata una delle più grandi avventure dell’astrofisica moderna. Per questo risultato, Mayor e Queloz ricevono nel 2019 il Premio Nobel per la Fisica.

A caccia di esopianeti
Le tecniche principali di rilevamento e osservazione di esopianeti sono: il metodo delle velocità radiali (utilizzato per 51 Pegasi b), il metodo del transito, il microlensing gravitazionale e l’osservazione diretta.
· Il metodo delle velocità radiali sfrutta l’effetto doppler e il movimento della stella causato dalla presenza di un oggetto massivo che attrae gravitazionalmente la stella, generando un’oscillazione della sua posizione durante l’orbita. Se l’orbita non è perpendicolare al piano di osservazione, dal nostro punto di vista, la stella si avvicina e si allontana, modificando la frequenza dell’onda elettromagnetica trasmessa verso la Terra. Quando la stella si avvicina, la frequenza aumenta, causando uno spostamento verso il blu della radiazione (blueshift); quando si allontana, la frequenza diminuisce, con uno spostamento verso il rosso (redshift). Ne risulta un’oscillazione tra infrarosso e ultravioletto delle righe di assorbimento della stella. Analizzando queste oscillazioni, gli astronomi sono in grado di dedurre la velocità radiale della stella, confermando la presenza di un pianeta e stimandone la massa;
· Il metodo del transito misura la variazione dell’intensità della luminosità della stella causata dal passaggio di un esopianeta davanti ad essa. La diminuzione della curva di luce della stella è legata alla dimensione del pianeta e della sua orbita. Se questo è più lontano dalla stella, transiterà davanti ad essa per un tempo maggiore, provocandone un oscuramento più prolungato. La distanza temporale tra i due minimi di luminosità permette di dedurre il periodo dell’orbita e calcolare il raggio e la massa del pianeta. Inoltre, è possibile avere informazioni riguardo la sua composizione atmosferica. Infatti, l’eventuale atmosfera dell’esopianeta assorbe alcune radiazioni nello spettro. Analizzando le radiazioni assorbite gli astronomi sono in grado di determinare la presenza di composti chimici;
· Il microlensing gravitazionale si basa sulla teoria della relatività generale di Einstein secondo cui un oggetto molto massivo può deformare lo spazio-tempo e deviare il percorso della luce che gli passa vicino. Quando un pianeta si allinea tra una stella lontana e l’osservatore sulla Terra, agisce come una lente gravitazionale, concentrando la luce della stella sullo sfondo aumentandone temporaneamente la luminosità. Questo picco può essere misurato e analizzato per dedurre la massa e la posizione del pianeta. A differenza di altri metodi, il microlensing è particolarmente efficace nel rilevare pianeti molto distanti dalla loro stella o pianeti vaganti, cioè corpi che fluttuano nello spazio interstellare senza orbitare attorno a una stella. Tuttavia, ha un limite importante: l’allineamento tra stella, pianeta e osservatore è casuale e irripetibile, rendendo ogni evento osservabile una sola volta;
· L’osservazione diretta del pianeta è possibile oscurando la luce della stella madre, attraverso l’uso di coronografi.
Negli ultimi decenni sono state sviluppate diverse tecnologie per catturare il maggior numero di esopianeti e studiarne le proprietà principali. Kepler, missione pioniera della NASA, ha rivoluzionato la caccia agli esopianeti utilizzando il metodo del transito, scoprendo più di 2.600 pianeti confermati durante la sua attività. Il suo successore, TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), lanciato nel 2018 e tutt’ora in funzione, monitora il cielo alla ricerca di esopianeti intorno alle stelle più vicine permettendo una caratterizzazione più dettagliata rispetto a Kepler.
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha invece lanciato CHEOPS (CHaracterising ExOPlanets Satellite) nel 2019, con lo scopo di studiare esopianeti già scoperti, analizzandone dimensioni, densità e composizione atmosferica con estrema precisione.
Nel prossimo futuro, diverse missioni ESA e NASA promettono di approfondire la conoscenza dei mondi extrasolari. Tra queste:
PLATO, un satellite munito di 34 piccoli telescopi, progettato per individuare pianeti rocciosi nella zona abitabile attorno a stelle simili al Sole, attraverso il metodo del transito e misurare le oscillazioni delle stelle intorno alla loro orbita per determinare con un’accuratezza mai raggiunta prima la loro massa, il loro raggio e la loro età;
ARIEL, che si concentrerà sull’analisi delle atmosfere di centinaia di esopianeti, studiandone la composizione chimica, le nubi e la dinamica atmosferica;
Il Nancy Grace Roman Space Telescope, che utilizzerà la tecnica del microlensing gravitazionale per individuare pianeti lontani, inclusi i misteriosi pianeti vaganti, che fluttuano nello spazio senza una stella madre.

A supporto di queste missioni spaziali giocano un ruolo fondamentale anche i telescopi, sia in orbita che a terra. In particolare, l’ELT (Extremely Large Telescope), attualmente in costruzione nel deserto di Atacama in Cile, sarà il più grande telescopio ottico-infrarosso mai realizzato, con uno specchio di 39 metri di diametro. L’ELT non solo sarà in grado di osservare direttamente alcuni esopianeti ma fornirà spettroscopia ad altissima risoluzione per analizzarne in dettaglio le atmosfere. Questo permetterà di caratterizzare i pianeti nella zona abitabile e identificare segnali di attività biologica.

È possibile una seconda casa?
La stella più vicina al Sole, Proxima Centauri, che ospita tra gli altri, Proxima Centauri b, un esopianeta considerato potenzialmente abitabile, dista da noi 4,2 anni luce e con i mezzi più veloci mai costruiti servirebbero decine di migliaia di anni per raggiungerla. Per questo motivo la Terra al momento rimane la nostra unica casa. I fattori che hanno permesso al nostro pianeta di ospitare la vita e di permetterne una tale evoluzione sono davvero numerosi e la loro coesistenza sembra essere davvero rara nell’Universo. Affinché un pianeta possa ospitare qualche forma di vita, prima di tutto, necessita di avere acqua allo stato liquido, poiché, da quanto sappiamo, è l’ingrediente fondamentale della vita. Il pianeta ideale deve quindi trovarsi ad una distanza tale da non essere né troppo lontano (e quindi presentare acqua in forma solida), né troppo vicino alla stella che lo ospita (e quindi far evaporare tutta l’acqua in superficie). Questi estremi definiscono il perimetro della zona di abitabilità o Goldilocks: il nome prende ispirazione dalla fiaba dei Riccioli d’Oro e i tre orsi, che racconta di una ragazzina molto esigente, desiderosa di mangiare il suo porridge, né troppo caldo, né troppo freddo. Ma non basta!
Individuare pianeti nella zona abitabile è una condizione necessaria, ma non sufficiente alla vita. Perché un esopianeta possa essere davvero simile alla Terra, servono molti altri ingredienti: un’atmosfera stabile, una giusta composizione chimica, un campo magnetico che lo protegga dalle radiazioni e magari la presenza di una luna, capace di regolare il clima e le maree. Nonostante le condizioni perfette per lo sviluppo della vita sembrino rare, nell’infinità dell’universo, anche l’eccezione può diventare regola; come affermava il fisico Carl Sagan “Da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere scoperto.”
Oggi, se volessimo fare di un esopianeta la nostra nuova casa, sappiamo che con le tecnologie attuali non è possibile. Ma la ricerca di esopianeti non ha come scopo principale trovare una nuova casa. La vera sfida è trovare risposta sempre più certa sull’origine, l’evoluzione e la vita dell’universo e di ciò di cui è costituito. E chissà, un altro passo avanti nell’ignoto, potrebbe essere riuscire a rispondere alla domanda che ci accompagna da sempre e sulla quale sono nate storie di fantascienza e cospirazioni: siamo soli nell’Universo?
Fino ad allora, la Terra rimane il nostro unico rifugio. E proprio perché per ora non esiste una “seconda casa”, prenderci cura di questo piccolo e pallido pallino blu, diventa non solo un dovere, ma anche un’urgenza.
A cura di Edoardo Tamburrino
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