CONFERENZina 2025 "Oltre il muro del suono: il futuro supersonico e le sue sfide"
- Luca Pittalis
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 14 min
Di recente, lo scorso 28 novembre, abbiamo avuto l’occasione di essere partecipi all’attesissima CONFERENZina, evento annuale organizzato da AESA Torino, a seguito dell’altrettanto attesa conferenzONA, tenutasi lo scorso maggio in una sua nuova forma, lo “Space Aperitif”.
Le due conferenze hanno come obiettivo principale quello di essere occasioni che gli studenti (e non solo) possono avere per incontrare alcuni dei massimi esperti del settore aerospaziale, sentire le loro opinioni in merito ai vari argomenti dell’evento, e poter poi interagire con loro tramite domande e approfondimenti successivi.
L’oggetto della CONFERENZina di quest’anno, come da titolo, è "Oltre il muro del suono: il futuro supersonico e le sue sfide", richiamo diretto a uno dei regimi di volo più estremi, dalle grandi potenzialità ma anche dalle grandi problematiche, sia per i rischi fisici che per le possibili conseguenze legate all’inquinamento di questi potenti mezzi. Entrando nel vivo dell’evento, le figure di spicco che abbiamo avuto il piacere accogliere sono, in ordine di apparizione… -Dott. Antonio Lo Campo, giornalista scientifico che ha introdotto i temi dell’evento e gli ospiti dell’incontro -Dott. Davide Ferretto, dottore di ricerca del Politecnico con esperienza nel campo del volo supersonico e dell’aviazione sostenibile -Col. Luigi Piccolo, ex pilota dell’intercettore “F104”.
Introduzione del Dott. Antonio Lo Campo

…e a cui si sono susseguite le domande del pubblico.
Procediamo quindi con il recap della CONFERENZina 2025!
Introduzione del Dott. Antonio Lo Campo
Oggi parliamo del supersonico, una delle più grandi sfide dell’aviazione del secolo scorso, un successo partito dal termine della seconda guerra mondiale, quando il 14 ottobre del 1947 Chuck Yeager superò il muro del suono, dando vita a un mondo che rivoluzionò il militare ma anche il commerciale. Proprio in merito a quest’ultimo infatti abbiamo avuto la possibilità di vedere la nascita di due progetti alla fine degli anni ‘60, il sovietico Tupolev e l’anglo-francese Concorde, accomunati soprattutto dal fatto di essere gli unici due aerei di linea mai costruiti ad aver viaggiato nel supersonico.
Escludendo il settore commerciale, le applicazioni di questo regime di volo sono sempre state perlopiù militari, e in tale merito è possibile affermare che l’F104 sia stato uno degli aerei più importanti in assoluto, tanto strepitoso quanto pericoloso, al punto di essere anche denominato “la bara volante” o “fabbricatore di vedove”, andato in pensione definitivamente nel 2004.
A parlare qui oggi ci sarà Davide Ferretto, dottore di ricerca del Politecnico nel dipartimento del DIMEAS attualmente impegnato in diversi studi in merito all’aviazione sostenibile per il trasporto di massa. Oltre a lui avremo anche l’onore di sentire una persona che più di tutti potrà parlarci della sua passione per l’aeronautica, il tenente colonnello Luigi Piccolo, con più di 3000 ore di volo sull’F104, che ci racconterà le sue numerose esperienze da pilota.

Intervento dell’Ing. Davide Ferretto
La presentazione di cui vi parlerò oggi parte da alcuni elementi già citati, introducendo la storia e il contesto in cui è nato il Concorde, per poi rivolgerci avanti e comprendere come arriveremo alle nuove piattaforme di volo; nella seconda parte invece tratterò le sfide tecniche legate all’impatto ambientale, la cui considerazione è fondamentale per rendere di successo uno sforzo tecnologico di questo calibro.
Prima di tutto, partiamo da un banale ma dovuto cenno accademico: i regimi di volo sono categorizzato in base al loro “numero di Mach”, pari al rapporto tra la velocità dell’oggetto rispetto a quella del suono. In base a questa soglia, si individua in valori minori di 1 il regime subsonico, con quantità prossime a 1 il regime transonico, e con cifre maggiori di 1 il regime supersonico, arrivando poi addirittura all’ipersonico in caso di Mach superiori al 5, dove non si ha una discontinuità vera e propria come nel caso del muro del suono, ma in prossimità del quale cominciano a sorgere diversi effetti termici che ne rendono valida la differente classificazione.
La comprensione della composizione e del comportamento dell’atmosfera è vitale per molte delle sfide che i velivoli devono superare durante il volo, anche in termini ambientali, proprio perché la velocità del suono varia in funzione del profilo della temperatura, il quale a sua volta dipende dall’altitudine considerata. In ogni caso, per le misurazioni generali è possibile considerare che al livello del mare la velocità del suono è di 340m/s, circa 1200km/h, per quanto poi questa tenda generalmente a ridursi salendo di quota, con un andamento però variabile e non strettamente lineare. La composizione dell’aria è fondamentale per via del distacco del flusso aeriforme, non più ipotizzabile come continuo oltre il muro del suono e quindi molto diverso dal suo comportamento standard, fattore chiave per il dimensionamento degli scudi termici e di tutte le componenti strutturali del velivolo.
Parlando del contesto storico, durante gli anni ’60 Boeing è stata la prima a trovare una soluzione da trasporto molto efficace, quella del classico aereo di linea subsonico, e dai tempi la forma dei velivoli di massa è in un modo o nell’altro rimasta sostanzialmente invariata; infatti ci sono state epocali innovazioni in pressoché ogni sistema, ma sempre in riferimento alla stessa struttura di base, composta da 2 propulsori subalari, un’ala a freccia, un certo tipo di proporzione e di forma.
L’unica variazione a questo schema ben collaudato è stata il Concorde, unico velivolo supersonico civile dalla lunga vita operativa, che per ben 30 anni ha solcato i cieli con le sue 20 unità costruite. Tra le tante caratteristiche fondamentali, è possibile mettere in luce la massa massima di 185 tonnellate (di cui la metà in carburante), la capienza di 120 passeggeri, il raggio operativo di 7000km, il carico trasportabile di 13 tonnellate, la velocità di crociera a Mach 2 e i quattro motori a turbogetto con postcombustore, capaci di generare una spinta pari a 560kN.
Lo sviluppo dei motori a getto durante la seconda guerra mondiale ha aperto molte strade, ma i salti fondamentali da ricordare sono soprattutto tre.
Il primo vero passo è avvenuto con la serie X americana, con l’X1 che ha superato il muro del suono nel 1947, propulso da un motore a razzo e rilasciato in volo da un velivolo più grande detto “carrier”. Lo stesso velivolo ha poi rischiato un grave incidente a seguito di una perdita di controllo legata al momento di inerzia, difficilmente gestibile per via della dimensione ridotta delle ali, che ha portato Yeager a perdere conoscenza e a precipitare per diverse decine di migliaia di piedi prima di riprendere i sensi e riportare l’aereo nel giusto assetto.
Il secondo passo ha preso piede qualche anno dopo con l’X15, velivolo sperimentale sfruttato in modo estensivo dalla NASA come piattaforma di test per diverse analisi sul controllo dei motori a razzo. Questo velivolo era anch’esso trasportato da un carrier, poteva arrivare fino a 110km di quota e porta tutt’ora il primato di velivolo più veloce di sempre, con un picco pari a Mach 6.7, raggiunto nel 1967. In termini scientifici, l’X15 è stato usato per l’analisi di materiali e per l’addestramento di astronauti (ci salì infatti anche Neil Armstrong), oltre che per lo studio di micrometeoriti.

Il terzo e finale passo si ebbe invece con l’esoreattore, il tipo di propulsore usato nel Concorde, non più a razzo per usi militari, ma ora dipendente strettamente dall’aria per la sua operatività, fattore fondamentale per usi civili. Oltre al profilo di missione del tutto differente, la quota media per il Concorde è stata stabilità per aggirarsi attorno ai 60.000 piedi, unendosi a una serie lunghissima di caratteristiche che gli hanno consentito di essere l’unico progetto del suo tipo ad avere successo per tanti anni; altri velivoli infatti, quali il Boeing 2707 e il Lockheed L2000, hanno avuto la presunzione di provare a uguagliare e battere il Concorde con carichi massimi superiori e velocità maggiori, non riuscendo però mai ad arrivare alle fasi conclusive di progetto.
Parlando di volo supersonico civile, c’è in realtà un caso del tutto simile a quello anglo-francese, ossia il sovietico Tupolev Tu-144, ma la diversa configurazione, la scarsa efficienza a basse velocità e i maggiori consumi gli impedirono di avere anche solo una porzione del successo del più famoso Concorde.
Oltre a tutte le caratteristiche già indicate, il supersonico civile si portò dietro tantissime innovazioni del tutto inesplorate ai tempi, quali il muso rotante per le fasi di atterraggio e il baricentro modificabile in volo tramite la gestione della posizione del carburante, passando poi per un nuovo tipo di controllo ambientale e di temperatura, oltre che un innovativo sistema per il controllo del volo. L’equipaggio dei tempi prevedeva la presenza di 3 piloti, dove il terzo, il cosiddetto “ingegnere di bordo”, si occupava di gestire tutti i sistemi dell’aeromobile, dal controllo dei 4 motori all’autopilota e alla gestione del volo. La cabina di pilotaggio era totalmente analogica e dedicava molto del suo spazio alla posizione delle superfici di controllo in tempo reale, informazioni visibili oggi nei moderni velivoli ma in maniera meno marcata, testimonianza di come la filosofia dai tempi sia cambiata notevolmente.
Il Concorde era molto snello e gran parte della sua portanza derivava dai vortici creati dall’ala, dove l’efficienza (pari al rapporto tra portanza e resistenza) aveva un valore pari 7, molto buono per un velivolo del suo tipo ma decisamente meno ottimale degli aerei di linea subsonici medi. I propulsori erano a doppio bypass, essendo turbogetti puri dotati di postcombustore, e quindi per gli standard di oggi risulterebbero decisamente troppo rumorosi e inquinanti.
Dal punto di vista delle temperature, le difficoltà dell’ipersonico non sono ancora denotabili nel supersonico, e quindi in termini di materiali si è stati fedeli alle collaudate leghe in alluminio, con temperature di stagnazione in volo di 100°C in prossimità del muso, in diminuzione poi procedendo lungo il velivolo. Fa riflettere pensare che proprio per questo motivo uno dei modelli del Concorde, eccezionalmente brandizzato con una livrea della Pepsi, si è dovuto fermare a Mach 1.6, in quanto con tale verniciatura le temperature oltre una certa velocità avrebbero potuto creare problemi lungo la superficie del velivolo.
La gestione del combustibile è stata a lungo centro di polemiche per via della potenziale pericolosità dello spostamento del carburante durante il volo, fattore necessario per consentire una manovrabilità adatta in tutti gli assetti del velivolo, sia ad alte che a basse velocità. Oltre ai quattro serbatoi principali infatti ne sono presenti degli ausiliari, così che il baricentro possa tornare indietro durante il supersonico, rispostandosi in avanti nel subsonico.
Il sistema di controllo è stato il primo nel suo genere, imponendo uno standard odierno con il fly-by-wire a backup meccanico, mentre la pressurizzazione a Engine Bleed consentiva di condizionare la cabina e permettere la normale respirazione, arrivando a pressioni nel sistema idraulico fino a 4000psi, un po’ meno dello standard odierno di 5000psi. Purtroppo, il Concorde non è mai stato particolarmente comodo, sia per le accelerazioni repentine che per il rumore percepito durante il volo, e considerate le estreme velocità anche i finestrini non erano particolarmente lussuosi, non superando le dimensioni di un moderno telefono cellulare.

Guardando verso il futuro, l’Europa è in una posizione di estremo svantaggio, mentre gli USA sono decisamente avanti grazie all’XB1, dimostratore che poi porterà allo sviluppo del Boom Overture, un seguito spirituale del Concorde vero e proprio. Considerata la visibilità scarsa, il volo a vista tramite muso rotante è stato rimpiazzato da delle telecamere ad alta risoluzione che in futuro, nonostante la grande discussione in merito, potrebbero potenzialmente essere anche certificabili. Un altro velivolo che da poco ha spiccato il volo per la prima volta è l’X59, anch’esso dimostratore atto a verificare la possibilità di superare il muro del suono senza generare un Sonic Boom; questa sfida è di fondamentale importanza per la riduzione dell’inquinamento acustico dei velivoli, soprattutto se si considera che proprio per tale motivo il Concorde poteva volare solamente sul mare in regime supersonico. L’X59 ha un solo propulsore e non consente al pilota una visione frontale, sostituita integralmente con uno schermo al fine di allungare ancora di più il corpo del muso, distanziando così maggiormente il primo punto di contatto del velivolo con il flusso dalla parte più grossa dell’aereo. Il primo volo è stato solamente una prova e ha raggiunto un Mach pari a 0.3, ma l’idea finale è di superare il Mach 1 generando un rumore paragonabile a una portiera di un’automobile sentita da 20 piedi di distanza.

Il passo finale dello studio dell’XB1 e dell’X59 è il Boom Overture, velivolo dotato di 4 propulsori subalari in gondole convenzionali agganciate all’ala a freccia, dalle caratteristiche specifiche fin ora quasi del tutto ignote. In teoria, il Boom Overture dovrebbe poter portare 80 passeggeri a una velocità di Mach 1.7, con un raggio operativo leggermente maggiore del Concorde e con un bypass medio/basso senza postcombustore, decisamente un passo avanti in termini ambientali, soprattutto considerando la volontà di utilizzare al 100% il sustainable aviation fuel (SAF), carburante attualmente miscelabile con il kerosene ma mai utilizzato da solo, senza una percentuale di carburante tradizionale inferiore al 50%. Il costo previsto del singolo velivolo è relativamente contenuto, fermandosi ai 230.000.000€ per esemplare, e proprio per questo sono state ipotizzate delle cabine di prima classe, attualmente prezzate all’ottimistica cifra di 5000€ per un volo di andata e ritorno da Londra a New York.
Considerando le problematiche specifiche legate all’ambiente, oltre all’utilizzo del SAF si potrebbe dare il via a delle configurazioni di volo diverse da quelle attuali, formate da velivoli di dimensioni minori alimentabili per via elettrica, aerei di dimensioni medie con una propulsione ibrida, mentre nel supersonico i requisiti diventerebbero molto più stretti, costringendoci a ripensare per intero al design dei velivoli, ripartendo quasi da zero.
In particolare, i problemi da gestire per consentire la fattibilità dei voli supersonici sono due:
1. Ciclo di atterraggio e decollo: il velivolo non può superare in proporzione alla massa una certa soglia di rumore in decibel, con standard che nel corso degli anni sono diventati sempre più stringenti.
2. Sonic Boom: compressione generata una volta superato il muro del suono, creando onde di pressione molto forti che si propagano fino a terra con una forma a N molto caratteristica. La soluzione in questo caso potrebbe avvalersi di un Cruiseless Boom, utilizzando la rifrazione per evitare che le oscillazioni possano arrivare al livello del terreno, oppure di un Low Boom, il cui scopo è di dividere la tipica forma a N in tanti piccoli picchi quasi inudibili e inconfondibili dal rumore di fondo.
Da un punto di vista di consumi l’EASA, autorità massima per la sicurezza dell’aviazione, ha un valore specifico chiamato “CO2 Metric Value”, pari alla CO2 emessa in base al rapporto distanza propellente, considerando poi l’area effettiva della cabina del velivolo, in un valore che quindi non ha propriamente un’unità di misura fisica ma che fornisce un metro limite di riferimento per enti e costruttori.
Oltre alle sfide controllabili, ci sono poi dei problemi potenzialmente incontrollabili, troppo legati al caso o da condizioni di mercato non facilmente prevedibili; anche in queste situazioni è necessario far caso a due aspetti:
1. La sfida è l’innovazione, ma tantissime startup, progetti o intere aziende hanno fallito, sia per la complessità di questo genere di industria che per la natura imprevedibile dello sviluppo tecnologico.
2. Il policy making porta costantemente alla variazione dei piani nazionali di investimento per la ricerca e per lo sviluppo, sia militare che non, motivo per cui tantissimi progetti sono stati abbandonati nel corso degli anni. L’Unione Europea in questo merito non è mai stata particolarmente di aiuto, avendo sempre tenuto una politica atta a finanziare più o meno qualsiasi settore, senza avere la forza di dare priorità ad alcuni progetti più critici o in generale promettenti.
In conclusione, è fondamentale affrontare gli aspetti tecnologici alla pari di quelli relativi alla sostenibilità, perché la competitività non è più solo performance e perché la natura incontrollabile di tanti aspetti del settore ci costringe a lavorare in contesti internazionali, tutto allo scopo di far sì che la nostra eccellenza venga in qualche modo sempre più valorizzata.

Intervento del Col. Luigi Piccolo
La mia avventura è iniziata con l’MB-326, velivolo da scuola biposto, con cui ho fatto le mie prime esperienze, per poi passare al G-91, aereo da combattimento abbastanza pericoloso, cambiando successivamente all’F-86-K e infine all’F-104.
L’F-86-K era un aereo subsonico (Mach 0.92/0.95) con postbruciatore dotato di radar, una rarità per l’epoca, ed è stato colui che mi ha insegnato a gestire per davvero le emergenze, essendo il velivolo già in una fase di fine vita, motivo per cui spesso si accendevano in volo spie di ogni genere. Proprio in merito a queste ultime, da piloti sapevamo che ogni lampadina corrispondeva a una precisa serie di operazioni da seguire tramite checklist, tanto che avevamo un po’ ovunque dei piccoli fogli contenenti ogni genere di informazione in merito al velivolo, proprio perché non c’erano strumenti informatici di alcun genere per rendere la navigazione più comoda. Ricordo ancora la sensazione del postbruciatore, la prima volta che provai l’F-86-K, e la gigantesca botta che generava alla sua accensione, così come il fortissimo calo del motore al suo spegnimento; per i tempi era qualcosa di stranissimo, ma ci siamo abituati abbastanza in fretta, tanto che vi totalizzai più di 1400 ore complessive.
L’F-104 arrivò successivamente, e nel passaggio da un aereo all’altro ricordo la forte impressione al seguito delle accelerazioni e della velocità di rotazione (durante la quale avviene il primissimo distacco, subito prima del decollo) pari a 175 nodi (324km/h). La rapidità dell’ascesa era tale da costringere il pilota a tirare subito in alto il carrello, al fine di evitare di superare i limiti imposti per la retrazione; a 5000 piedi già tutti i controlli dovevano essere stati effettuati, in un ritmo molto rapido ma a cui ci siamo abituati quasi subito… e io non sono mica un fenomeno!
Personalmente non mi è mai piaciuto l’appellativo di “bara volante” assegnato all’F-104, e ritengo che questo sia legato alla erronea mentalità con cui molti piloti, primi tra tutti quelli del G-91, si approcciavano a questa macchina, senza ragionare con anticipo in merito agli eventi futuri. Per dare anche solo un’idea in merito all’effettiva qualità della progettazione, è sufficiente pensare alla volta in cui ho colpito un ramo di un platano, tagliandolo di netto e a malapena danneggiando il profilo del bordo di attacco dell’ala, oppure all’episodio in cui ho colpito in pieno un corvo, in un impatto che avrebbe potuto mandare giù moltissimi altri velivoli, ma non l’F-104.

A Caselle ho avuto la possibilità di fare voli di prova per numerosi aeromobili supersonici per più di 10 anni, e l’iter da seguire per il volo supersonico era ben definito: prima di salire a 37.000 piedi era necessario avvicinarsi alla zona di Cuneo, per poi attraversare il Piemonte in direzione La Spezia e infine rivolgersi nella direzione di Tino, una delle tre isole del golfo, dove era poi possibile iniziare la corsa supersonica. Le misurazioni prevedevano di cronometrare i tempi di accelerazione da Mach 1.1 a Mach 1.8, variabili in base alla stagione, con statistiche migliori in inverno, pari solitamente a circa 90 secondi, e peggiori in estate, in quel caso molto più vicine ai 2 minuti. In questa fase era importantissimo prestare attenzione al motore, verificando che attorno a Mach 1.45 ci fosse uno sbloccaggio dei giri, così da continuare la corsa nonostante la potenziale limitazione della presa del propulsore, fermandosi poi una volta raggiunta la temperatura limite specifica del tipo di velivolo in prova (per il G-91 era 153°C). Una volta ho avuto la fortuna di volare in una giornata invernale particolarmente fredda, e in quella situazione sono riuscito ad arrivare fino a Mach 2.4, la più alta velocità che io abbia mai raggiunto. A quelle velocità due fattori che si notano particolarmente sono la dilatazione termica, con il metallo che udibilmente si deformava sotto ai miei stessi occhi, facendo a tratti addirittura entrare la luce da fuori, e la percezione della velocità, realmente denotabile solo una volta attivati i freni.
L’attenzione del pilota novizio era distribuita con una proporzione dedita per l’80% all’uso della macchina e per il 20% nello svolgimento della effettiva missione, diminuendo quindi l’interesse del pilota al velivolo con l’aumentare dell’esperienza. Oggi la curva di apprendimento degli aerei moderni è molto più rapida, consentendo ai piloti attuali di concentrarsi quasi da subito sull’uso della strumentazione e sull’avanzamento della missione in atto.
Il combattimento con l’F-104 era molto difficile per via della sua scarsa manovrabilità, ma sul piano verticale c’erano ancora buone possibilità di sfruttare la grande potenza del velivolo a proprio favore, sempre ovviamente con una buona dose di fortuna, sempre necessaria in questo genere di situazione. Io ad esempio ho avuto la sventura di perdere olio motore per ben 6 volte, salvandomi per via di una specifica maniglia utile a tenere ferma la posizione dell’ugello, sicuramente non ideale ma sufficiente a restare in volo e tornare a casa. In un’altra situazione ho invece avuto problemi con la pressione del compressore, fissa a zero, e fortunatamente con il ripetuto inserimento del postbruciatore sono riuscito a farlo ripartire; il fattore C è importante!

La tigre che potete vedere era dello zoo safari, si chiamava Pura, ed era stata prelevata dalla natura per via di alcuni problemi alle zampe anteriori; non c’è la foto, ma a un certo punto è salita anche sull’ala, istigata con della carne appositamente posizionata. La tigre era presente in quella situazione perché in accordanza con il mio nominativo, Tiger4, occasione che abbiamo voluto onorare in uno dei nostri “Tigermeet”, incontro tra club a Cameri, nel 1988. Dal giorno del mio pensionamento, il 24 dicembre del 1999, ho volato su tantissimi ultraleggeri e altri tipi di velivoli, ma ancora mi manca la sensazione che mi hanno dato tali grandi aerei.
Conclusione
Grazie a tutti per aver partecipato alla nostra CONFERENZina del 2025!
Siamo grati ai relatori per i loro preziosi contributi e a voi, il pubblico, per la vostra attenzione e coinvolgimento. Speriamo di rivedervi ai prossimi eventi, a presto!
A cura di
Luca Pittalis
Fonti immagini: https://commons.wikimedia.org


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