#AESASpazio – NASA’s Twins Study: Come il corpo umano si adatta all’ambiente spaziale

Il primo sguardo diretto al cielo si perde nell’alba dei tempi, rivolto da uno degli infiniti sognatori del genere umano verso le stelle e alla loro magnificenza. Nel proseguire dei secoli, la passione e la brama di esplorazione insita in noi ci hanno portati a raggiungere quel cielo per osservarlo più da vicino, fino a costruirci una piccola casa chiamata ISS. Ma possiamo davvero chiamarla casa? Può il nostro corpo sopportare le condizioni estreme dello spazio senza risentirne?

La missione “Twins Study” della NASA ha luogo sulla stazione spaziale internazionale, situata nell’orbita bassa. I due protagonisti di questo soggiorno spaziale sono i fratelli Mark e Scott Kelly, nati entrambi il 21 febbraio 1964 in New Jersey. I due gemelli omozigoti prendono inizialmente strade diverse: Mark si laurea in ingegneria aerospaziale presso la US Naval, mentre Scott in ingegneria elettrica e sistemistica aeronautica presso l’università del Tennessee. Dopo parecchie esperienze militari, il destino dei due fratelli si intreccia nuovamente portandoli alla NASA, dove vincono il primato come primi gemelli astronauti nella storia. Al termine dell’addestramento, partecipano ad alcune missioni spaziali, fino a quando la National Aeronautics and Space Administration non li coinvolge in una ricerca congiunta sulla fisiologia umana svoltando la loro carriera.

Parte nel 2015 il NASA’s Twins Study, missione il cui obiettivo è quello di stabilire le modifiche al corpo umano quando si trova in microgravità e ad alta esposizione radiativa per lunghi periodi. L’esperimento consiste nel portare Scott sulla ISS per 340 giorni consecutivi prelevando dei campioni di sangue e di liquidi corporei, eseguendo gli stessi test anche su Mark a terra. Per entrambi i soggetti sono passati 4 anni dall’ultima missione spaziale, rispettivamente di 180 e di 54 giorni, così da poter trascurare gli effetti dei passati viaggi e da standardizzare i test. Separati da 250 miglia di distanza, i due gemelli iniziano i loro esperimenti e portano la conoscenza umana della fisiologia a livelli mai raggiunti. Gli studi condotti dagli esperti della NASA si concentrano su numerosi ambiti, come l’efficienza immunologica, la biochimica del corpo umano, il metabolismo e molti altri ancora. I risultati sono sorprendenti: i due gemelli non sono più identici.

Un problema affrontato nell’ambiente spaziale è l’adattamento del sistema cardiovascolare. Normalmente, la gravità attira i liquidi corporei verso la parte inferiore del corpo, creando una differenza di pressione sanguigna tra la parte superiore e quella inferiore. In seguito al lancio, in microgravità, il sangue si distribuisce equamente in tutto il corpo e crea un effetto di rigonfiamento facciale, detto “puffy face”, e di riduzione dello spessore delle gambe, detto “chicken legs”. A lungo termine, il corpo risponde compensando questi effetti tramite l’ipovolemia, ovvero la riduzione del volume dei fluidi corporei come il sangue. Le funzioni cognitive di Scott, invece, sono fortunatamente rimaste invariate durante tutto il volo; solo successivamente all’atterraggio, la velocità di reazione e l’accuratezza hanno subito un lieve crollo, per ipotensione ortostatica, che si è però ristabilizzato dopo un breve periodo a terra.

La scarsa attività fisica, dovuta alla mancanza di gravità, crea altri problemi non trascurabili. Infatti, la riduzione dell’afflusso di sangue ai tessuti fa sì che il cuore ed i muscoli si atrofizzino, diminuendo notevolmente la loro massa e la loro capacità di esercizio. Il corpo di Scott, a lungo termine, risulta avere una massa minore ma con una quantità di vitamine disciolte nel sangue decisamente maggiore. Il risultato dimostra come la nutrizione e l’esercizio giocano un ruolo importante nella salute per mantenere i giusti parametri vitali.

Altro discorso è la risposta del corpo all’ambiente secondo la “gene expression”, ovvero l’adattabilità dei geni costituenti il DNA allo spazio circostante. L’effetto delle radiazioni danneggia il DNA e ciò ha fatto notare alla NASA un problema di un’esposizione alla radioattività per voli di lunga durata. La maggior parte delle modifiche si è riassestata appena poche ore dopo l’atterraggio di Scott, riportando l’astronauta alle sue condizioni pre-missione ed in perfetta salute. Nonostante ciò, è importante svolgere altre ricerche per evitare che l’esposizione a lunga durata porti alti rischi di sviluppare forme tumorali nel corpo.

L’ambiente spaziale, secondo i risultati degli studi di NASA, presenta una serie di sfide tecnologiche molto serie. La mancanza di gravità per un tempo considerevole può causare problemi fisici come l’atrofia muscolare e la perdita di densità ossea, portando anche all’osteoporosi. L’esposizione a radiazioni pericolose può aumentare il rischio di cancro, dovuto al danneggiamento del DNA. L’isolamento e la claustrofobia possono avere un impatto significativo sulla salute mentale dell’equipaggio, soprattutto durante le missioni a lungo termine.

Le conclusioni tratte dell’agenzia americana portano la medicina a considerare una possibile analogia tra l’invecchiamento ed il decondizionamento fisico durante il volo spaziale. Alcuni sistemi del corpo umano si comportano infatti come se stessero invecchiando ad una velocità maggiore, riportandosi però allo status iniziale quando vengono reinseriti nell’ambiente terrestre. Non esiste ancora la certezza scientifica su quale possa essere il limite temporale di missione sopportabile da un umano, ma i ricercatori di tutto il mondo si stanno spendendo per studiare questo aspetto.

I risultati del NASA’s Twins Study e del lavoro di Scott e Mark, che prosegue oltre l’anno di missione per monitorare le variazioni a lungo termine, permettono di essere fiduciosi per il futuro del volo spaziale umano. Lo sguardo infatti si posa sulle missioni indirizzate a Marte, le quali non dovrebbero essere un problema per l’essere umano a quanto si nota da questi studi. Alcuni ricercatori hanno addirittura affermato che le missioni umane potrebbero estendersi a durate di anche 3 anni con le giuste contromisure. Grazie alla tecnologia avanzata e alla collaborazione internazionale, la possibilità di una missione umana su Marte è sempre più vicina. Ci sono ancora molte domande senza risposta e molte incertezze da affrontare, ma la speranza e la determinazione continuano ad alimentare la nostra ambizione di esplorare il pianeta rosso. Con il tempo, la ricerca e la perseveranza, possiamo raggiungere questo obiettivo e scoprire ciò che si nasconde oltre l’orizzonte.

A CURA DI
Luca Niero


FONTI:

Fun Facts and Shareables | NASA

The NASA Twins Study: A multidimensional analysis of a year-long human spaceflight | Science