#AESASpazio – Sessant’anni dal primo volo umano nello spazio: Jurij Gagarin e la missione spaziale Vostok 1

Era il 12 Aprile 1961 quando la missione spaziale sovietica Vostok 1 portò il cosmonauta Jurij Alekseevič Gagarin a divenire il primo essere umano a orbitare intorno alla Terra.

Il programma sovietico Vostok, interpretato come risposta diretta al programma della NASA Man in Space Soonest, fu il primo grande successo della corsa dell’uomo verso lo spazio; così l’Unione Sovietica rese possibile l’impresa del primo uomo nello spazio diversi mesi prima che vi riuscissero gli Stati Uniti d’America. In realtà questo non fu l’unico traguardo, infatti, ogni singola missione equipaggiata di questo programma rappresentò il raggiungimento di un importante meta nell’esplorazione spaziale: primo volo spaziale umano (Vostok 1), primo giorno completo trascorso nello spazio (Vostok 2), primo volo in coppia (Vostok 3 e 4), volo in solitaria più lungo (Vostok 5) e prima donna nello spazio (Valentina Tereškova con Vostok 6).

La navicella spaziale Vostok era composta da due elementi fondamentali: la capsula monoposto dove risiedeva il cosmonauta e comprensiva degli strumenti di controllo del pilotaggio (diametro: 2,3 m, volume: 1,6 m³, massa: 2,46 t), e una sezione di forma conica suddivisa in due parti che conteneva i retrorazzi frenanti ed il serbatoio (diametro: 2,43 m, lunghezza: 2,25 m, massa: 2,27 t). Faceva ritorno a terra esclusivamente la capsula ospitante il cosmonauta; le sollecitazioni e le temperature alle quali veniva sottoposta erano elevatissime e per questo motivo venne aggiunto uno scudo termico spesso fino a 18 cm di cemento-amianto (in Italia comunemente chiamato Eternit). La capsula era di forma sferica e accessibile esclusivamente da 3 portelli del diametro di 1,2 m, dai quali entrava il cosmonauta, avveniva il lancio del paracadute e venivano inseriti gli strumenti all’interno; poi vi erano i portelli di osservazione, anche essi 3 ma più piccoli, con un diametro di 25 cm, dai quali il cosmonauta aveva modo sia di osservare il panorama della Terra che di usufruirne per aiutarsi nella navigazione (visiera ottica, Wsor).

Una parte decisamente importante della capsula era rappresentata dal seggiolino del cosmonauta, eiettabile; infatti, proprio a causa della forma sferica della capsula, questa era in grado di atterrare solo balisticamente, il che avrebbe sottoposto il cosmonauta a una pressione all’atterraggio pari a 10g, rendendo anche difficile poter frenare la capsula prima dell’impatto a terra. Per tali motivazioni si decise di eiettare il cosmonauta poco prima dell’atterraggio, separatamente dalla capsula, anche se per molti anni i sovietici non dichiararono la veridicità o meno di questa procedura per paura che potesse essere riconosciuta non conforme alle regole internazionali sui primati di quota raggiunta in volo, regole successivamente modificate.

Oltre ad essere utilizzato come ufficiale procedura di atterraggio, il seggiolino eiettabile fu utilizzato come sistema di sicurezza in caso di malfunzionamento del razzo vettore sulla rampa di lancio, era in grado di catapultare il cosmonauta a una distanza tale da garantire che non fosse più esposto alla zona di pericolo. Durante la fase del volo le due sezioni della capsula erano collegate mediante quattro nastri di gomma fino al termine della combustione del carburante, dopo la quale una piccola esplosione ne determinava il distacco.

Questo scandiva anche l’avviamento della procedura di rientro. Il congegno propulsore che fu usato era del tipo TDU-1, funzionante mediante acido nitrico e un carburante a base amminica, che durante una combustione di soli 45 secondi era in grado di sviluppare una forza di spinta pari a 15,83 kN. La capsula era fornita anche di diversi ugelli d’azoto collegati a sensori infrarossi per modificarne la traiettoria.

Per l’alimentazione della navicella spaziale, compresa la capsula stessa, erano montati all’esterno 14 contenitori contenenti gas in pressione, mentre come fonte di energia venne utilizzato un accumulatore elettrico costituito da una batteria chimica che garantiva un funzionamento e un’alimentazione di 10 giorni; infatti, in caso vi fossero stati problemi nelle procedure di rientro della capsula, questa era fornita di cibo ed acqua per mantenere in vita il cosmonauta per 10 giorni, ovvero il tempo necessario per permettere alla capsula di rientrare da sola in atmosfera.

Il termine del programma spaziale Vostok avvenne prima del previsto, infatti, altre sette missioni erano state programmate fino all’aprile del 1966 ma furono cancellate per intensificare la corsa alla Luna; era necessario costruire nuove capsule, più grandi e più pesanti delle prime, così prese vita il suo successore, il Programma Voschod.

Soffermiamoci, però, sulla missione che sessant’anni fa entrò nella storia: Vostok 1. Erano le ore 8:51 (orario di Mosca) del 12 Aprile 1969 quando il cosmonauta Gagarin, in attesa della partenza, ascoltava della musica; sei minuti dopo iniziò la preparazione alle operazioni di accensione del vettore 8K72K ed esattamente alle ore 9:07 si ebbe il distacco dalla piattaforma di Bajkonur.

Alle ore 9:09 i quattro sovralimentatori del terzo stadio ed il cono di protezione in testa al vettore si distaccarono, in questi istanti il corpo del cosmonauta veniva sottoposto ad un’accelerazione di 5g, ovviamente molto elevata, seppur inferiore ai valori estremi a cui era stato sottoposto durante i lunghi mesi di addestramento. Lo spegnimento del secondo stadio, ovvero il corpo centrale della struttura, avvenne alle ore 9:12, portando all’accensione del motore dello stadio finale che rimase attivo fino alle ore 9:18:15, ora in cui il cosmonauta venne ufficialmente dichiarato in orbita.

L’orbita percorsa da Gagarin aveva un’inclinazione di 65° e 4’ rispetto all’equatore terrestre ed era rivolta in direzione est rispetto al punto di partenza. Durante il completamento dell’orbita la capsula viaggiò ad una velocità di circa 27400 Km/h, raggiunse un’altezza massima di 302 Km (apogeo) e un’altezza minima di 175 Km (perigeo). Dopo aver passato la penisola della Kamchatka e le isole Hawaii, trasmise i parametri al centro di controllo, restando costantemente in contatto radio. Alle ore 10:10, dopo aver oltrepassato la zona d’ombra della Terra, la capsula Vostok vide l’alba ed il sistema di orientamento solare si attivò in anticipo, dando il via alle procedure di rientro. Alle 10:25 si riscontrò un problema con i retrorazzi che si spensero in anticipo, la capsula iniziò a roteare su sé stessa impedendo il completo distacco del PO (modulo di strumentazione) dalla SA (apparato di discesa); i cavi rimasero attaccati, rischiando di causare la perdita dell’assetto corretto per il rientro. Dieci minuti dopo, alle 10:35, fortunatamente i cavi vennero bruciati nell’atmosfera e riuscirono a staccarsi. A 7000 metri di quota il cosmonauta si eiettò dalla capsula che lo aveva appena portato in orbita terrestre ed atterrò alle ore 11:05 a sud ovest di Engels, nella regione di Saratov, in un campo, in cui venne ritrovato in piena salute da una contadina di nome Anna Takhtarova.

Jurij Gagarin aveva solo 26 anni quando partecipò alle selezioni per diventare cosmonauta; erano richiesti tre semplici requisiti fondamentali: un peso inferiore a 70 kg, un’altezza inferiore al metro e 70 e un brevetto da pilota. Rispetto a molti altri suoi colleghi non spiccava per la sua bravura ma durante l’addestramento fu un lato molto importante del suo carattere che lo portò in cima alla lista tra migliaia di persone. Riusciva a mantenere la calma anche nelle situazioni più scomode, a tenere la mente lucida e a prendere decisioni ponderate anche in situazioni di forte stress psicofisico. Questo più che un requisito era un dono.

In seguito a questo storico volo, che segnò una pietra miliare nella corsa allo spazio, Gagarin divenne una celebrità internazionale e ricevette numerosi riconoscimenti e medaglie, tra cui quella di Eroe dell’Unione Sovietica, la più alta onorificenza del suo paese. Per motivi politici, la missione Vostok 1 fu il suo unico volo spaziale, anche se in seguito venne nominato come cosmonauta di riserva nella missione Sojuz 1, conclusasi in tragedia al momento del rientro con la morte del suo amico Vladimir Komarov. Successivamente Gagarin servì come vicedirettore del centro per l’addestramento cosmonauti. Nel 1962 venne eletto membro del Soviet dell’Unione e poi nel Soviet delle Nazionalità, rispettivamente la camera bassa e la camera alta del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica. Solo dopo tempo riuscì a ottenere il permesso di riprendere a volare, così la mattina del 27 marzo 1968 decollò dalla base di Chkalovskijj con un MIG-15 UTI assieme al copilota Seregin. Fu purtroppo il suo ultimo volo, morì a 34 anni, le cause dell’incidente vennero studiate a fondo ma non del tutto accertate, diverse sono le ipotesi avanzate dai colleghi cosmonauti che esclusero l’errore umano data l’esperienza di entrambi i piloti.
Quel che è certo è che mai il nome di quest’uomo potrà essere dimenticato, così come quei 108 minuti e le parole che egli ripose verso la Terra: “… Mi sento bene … La Terra è azzurra e bellissima …Vedo le nuvole … incredibile! “