Nel 1945 Arthur C. Clarke- autore di “2001: Odissea nello spazio”- in un articolo pubblicato sulla rivista “Wireless World” ed intitolato “Can Rocket Stations Give World-wide Radio Coverage?” propose l’utilizzo dei razzi, come quelli utilizzati nell’allora appena trascorsa Guerra Mondiale, per scopi pacifici. La sua idea “fantascientifica” era quella di lanciare in orbita dei satelliti artificiali per le telecomunicazioni. Vent’anni dopo il sogno divenne realtà: venne lanciato in orbita geosincrona (cioè una qualsiasi orbita sincrona attorno alla Terra, tale che il periodo orbitale del corpo che la percorre sia pari al giorno siderale terrestre) Intelsat I, il primo satellite per comunicazioni commerciali. In onore del celebre scrittore, l’orbita geostazionaria (caso particolare di quella geosincrona essendo un’orbita circolare ed equatoriale) prese il nome di “Fascia di Clarke”.
Come lo stesso Clarke aveva previsto, il campo delle comunicazioni si è evoluto molto.
Non solo siamo in grado di lanciare un satellite nello Spazio, ma siamo addirittura riusciti a mettere in orbita contemporaneamente più satelliti creando così una flotta satellitare. Queste costellazioni possono avere scopi differenti: navigazione (come il Sistema di Posizionamento Globale GPS), telefonia mobile, telecomunicazioni militari, connessione ad Internet a banda larga.
L’idea della costellazione satellitare nasce da problemi legati proprio alla copertura:
un satellite geostazionario (GEO) è in grado di coprire circa un terzo della superficie terrestre perché muovendosi con la stessa velocità di rotazione della Terra, copre sempre la medesima zona relativamente ampia. Quindi tre satelliti GEO spaziati di 120° possono coprire l’intera superficie del globo, escludendo le latitudini elevate. E’ evidente che le costellazioni geostazionarie richiedano un ridotto numero di satelliti. Purtroppo, soffrono di forte ritardo di propagazione e i terminali terrestri necessitano di potenze maggiori e di antenne più grandi.
Per questi motivi, le più moderne reti satellitari fanno riferimento all’orbita terrestre bassa (LEO), e richiedono l’impiego di numerosi satelliti perché l’area di copertura continua di uno di essi è relativamente piccola.
L’idea di una copertura continua sull’intero globo è stata abbracciata con entusiasmo dalla SpaceX che prevede di dare l’accesso a Internet satellitare globale in banda larga per il 2027.
Il nome del progetto è “Starlink” ed è stato presentato nel gennaio 2015. La costellazione sarà costituita da migliaia di satelliti miniaturizzati prodotti in massa e collocati in LEO.
Il servizio offerto da Starlink si distinguerebbe per la ridotta latenza dalle attuali offerte Internet via satellite, basate su grandi satelliti posti in orbita geostazionaria. Il tempo di latenza dovrebbe essere di 25-35 ms ,contro le latenze di 600 ms delle attuali tecnologie. Secondo SpaceX il progetto risponde a un’esigenza dettata dalla crescita di nuovi utilizzi di Internet.
Ogni satellite pesa circa 227 kg in modo da massimizzare la produzione ed inviarne il maggior numero in un singolo lancio. Per regolare la loro posizione sull’orbita, mantenere l’altitudine prevista e per effettuare le operazioni di de-orbiting, i satelliti Starlink dispongono di propulsori a effetto Hall alimentati al Krypton, invece del classico Xenon, in quanto il costo del Krypton è circa il 90% inferiore. Un sistema di navigazione con star-tracker garantisce un preciso puntamento. Le antenne sono piatte, senza parti mobili, e sfruttano la sincronizzazione di fase multipolare per direzionare il fronte d’onda verso l’obiettivo desiderato (phased array). La frequenza di downlink (ossia la frequenza alla quale avviene la trasmissione del segnale verso terra) va da 10.7 a 12.7 GHz, mentre le trasmissioni inter-satellite dovrebbero avvenire a frequenze più alte. Tutti i satelliti sono in grado di tracciare i detriti in orbita, evitando autonomamente la collisione.
Il piano iniziale prevedeva lo schieramento di 12 mila satelliti (GPS citato prima ne ha solo 32!) ad una quota tra i 1100 e i 1300 km di altitudine, ma a causa della concorrenza rappresentata da OneWeb (che era in uno stato avanzato rispetto all’azienda di Elon Musk, ma che qualche giorno fa ha dichiarato bancarotta), SpaceX è stata costretta ad accelerare il suo progetto.
Nell’autunno del 2018, l’azienda ha annunciato di lanciare una prima costellazione di 1600 satelliti ad un’orbita inferiore- rispetto a quella inizialmente pensata- e cioè ad un’altitudine di 550 km, con satelliti che sono stati semplificati per consentire il lancio delle prime coppie nel giugno 2019. Inoltre, invece di trasmettere in entrambe le bande Ku (K-under band, è la porzione inferiore delle frequenze a microonde dello spettro elettromagnetico, utilizzata per comunicazioni con la ISS, ma anche per la diffusione di canali televisivi) e Ka (K-above band, utilizzata nelle trasmissioni radio–televisive ), i satelliti trasmetteranno solo in banda Ku.
SpaceX proseguirà poi con il lancio di 2800 satelliti che trasmetteranno stavolta in entrambe le bande e che opereranno ad un’altitudine di 1150 km ed infine circa 7500 satelliti che trasmetteranno nella banda V e saranno posizionati ad un’altitudine di 340 km. La banda V, che si trova immediatamente dopo la banda Ka, non è stata ancora utilizzata per telecomunicazioni ed è quindi sperimentale.
Il 23 maggio 2019 alle 22:30 il progetto ha mosso il primo passo: sono stati lanciati i primi 60 satelliti Starlink dalla base di lancio SLC-40 (Space Launch Complex 40) di Cape Canaveral, in Florida. Il primo stadio del Falcon 9, il vettore a due stadi che qualche settimana fa ha supportato il primo volo di Crew Dragon verso la ISS, dopo la separazione è atterrato magistralmente sulla piattaforma “Of course I Still Love You”, nell’Oceano Atlantico. Un’ora e due minuti dopo il decollo, i satelliti Starlink sono stati rilasciati ad un’altitudine di 440 km e successivamente si sono posizionati nell’orbita di esercizio a 550 km di quota.
Per entrare ufficialmente in funzione, i satelliti dovranno essere molti di più. Secondo l’azienda i primi servizi, in alcune regioni della Terra, potrebbero partire già entro la fine dell’anno, una volta portati in orbita almeno 720 satelliti.
L’ultimo lancio, Starlink L6, è del 22 aprile 2020 ed anche dall’Italia è stato possibile osservare ad occhio nudo il passaggio di 60 puntini luminosi e veloci nel cielo, denominati “stringhe di perle” (questo perché i satelliti erano ancora in viaggio verso l’orbita di esercizio e quindi molto vicini).
Il prossimo è fissato proprio per oggi, 19 maggio alle ore 3:10 a.m. EDT. (link per conoscere i prossimi passaggi dei satelliti: https://james.darpinian.com/satellites/) SpaceX ha lanciato in orbita ben sette lotti (quello di oggi sarà quindi l’ottavo) di 60 satelliti, per un totale di 420: Starlink è attualmente la più grande flotta mondiale di satelliti commerciali mai esistita.
Starlink non è che una delle costellazioni in programma o già in fase di realizzazione: Iridium, OneWeb, Globalstar, il Project Kuiper di Amazon, Athena di Facebook. Insomma, nell’arco di qualche anno la LEO potrebbe ritrovarsi solcata in continuazione da decine di migliaia di satelliti. Molti astronomi hanno infatti espresso le loro preoccupazioni circa il disturbo creato da queste nei confronti delle osservazioni scientifiche da Terra sia ottiche che radio. L’Unione Astronomica Internazionale abbraccia il principio di un cielo oscuro e radio-silenzioso, essenziale non solo per far progredire la nostra comprensione dell’Universo, ma anche come risorsa per tutta l’umanità e per la protezione della fauna notturna.
SpaceX conferma però che molto si sta facendo affinché la rete di satelliti non costituisca un problema per le osservazioni astronomiche da Terra, dimostrando rispetto ed attenzione.
L’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ci informa tuttavia che le recenti simulazioni effettuate con oltre 25 mila satelliti a varie altezze orbitali (così da riflettere quella che dovrebbe essere la situazione nel prossimo futuro) mostrano come tali costellazioni- per quanto pressoché invisibili a occhio nudo una volta raggiunta l’orbita di destinazione- saranno luminose a sufficienza da saturare, al loro passaggio, i rivelatori dei telescopi più moderni: fino al 30 per cento delle immagini con esposizione di 30 secondi effettuate con il Rubin Observatory, per esempio, finirebbero per esserne “sporcate”. Un aspetto da tenere in considerazione è poi la fase immediatamente successiva ai lanci, ovvero quella di inserimento in orbita, durante la quale i satelliti formano, per qualche tempo, vistosissime stringhe di perle.
Starlink è indubbiamente un progetto molto affascinante dal punto di vista spaziale, ma siamo pronti a sacrificare il cielo notturno per realizzarlo?