Tre giorni fa, il 26 ottobre, alle ore 17 italiane è stata resa pubblica una notizia scientifica di notevole rilevanza: lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy, meglio noto come telescopio SOFIA, ha rilevato la presenza di acqua allo stato solido all’interno del cratere lunare Clavius. Contrariamente a quanto alcuni titoli hanno superficialmente lasciato intendere, non si tratta della prima scoperta di ghiaccio sul nostro satellite; al contrario, da ventiquattro anni ne abbiamo la certezza, possiamo però dire che la scoperta di questa settimana cambia la nostra percezione dell’ambiente lunare. Sono serviti cinquant’anni di studi per riuscirne a dimostrare l’effettiva presenza, ma quella dell’acqua sulla Luna è una trattazione che parte dallo scorso secolo.
“On the possible presence of ice on the Moon” – così Kenneth Watson, Bruce Murray ed Harrison Brown, illustri geofisici del Jet Propulsion Laboratory (JPL), esposero per primi alla comunità scientifica questa – improbabile, si credeva- ipotesi, nel 1961, anno in cui partì a tutti gli effetti la corsa alla Luna con il viaggio di Jurij Gagarin.
Dopo aver mappato il polo sud lunare, i tre scienziati evidenziarono una proprietà comune a quasi tutti i crateri della zona osservata: a causa dell’inclinazione dell’asse lunare, sul fondo di questi crateri non arriva, nè mai è arrivata, luce solare – caratteristica necessaria perchè eventuali molecole di acqua lì presenti non fossero scombinate dalle radiazioni solari. Dunque, ipotizzarono la presenza di “bacini” di ghiaccio sempre in ombra in cui si sarebbe formata acqua tramite processi vulcanici risalenti a milioni di anni fa.
A seguito dello sbarco dell’Apollo 11 nel 1969, furono analizzati campioni lunari nel tentativo di trovare tracce d’acqua. Tuttavia, furono effettuate misurazioni errate che non permisero di distinguere la molecola d’acqua H20 da ioni idrossidi OH-, lasciando nell’incertezza la comunità scientifica americana.
La scoperta ufficiale dell’acqua sulla superficie lunare risale al 1994, con la missione NASA Clementine. Tuttavia una curiosità che molti ignorano, è che in Russia ne erano certi già 20 anni prima, quando la sonda sovietica Luna 24 riportò a Terra 170 g di regolite che, analizzati opportunamente, hanno dimostrato la presenza d’acqua sulla Luna. Perchè rimase un segreto di Stato? Semplicemente perchè nessuno pubblicò lo studio fuori dall’URSS. Nel panorama scientifico internazionale la presenza o meno di acqua nella regolite lunare rimase taboo fino, appunto, a Clementine, 1994.
Un’altra rilevazione interessante fu compiuta dal Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) e dal Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (LCROSS), nel 2009: l’LRO mappò l’intera superficie del satellite (dati geologici, mineralogia, temperatura, valori di idrogeno ecc.), mentre l’LCROSS ebbe un compito ben più ambizioso. Dovette trascinare fino all’orbita lunare il secondo stadio del vettore, il Centaur, per poi lasciarlo cadere in prossimità del polo sud e analizzare la regolite sollevata dall’impatto. I risultati furono quelli sperati, dato che la nube causata dall’impatto evidenziò come avessero ragione Watson, Murray e Brown: nei crateri in ombra del polo sud lunare c’era acqua. Il cerchio è chiuso.
Arriviamo ai giorni nostri, perchè ha destato così tanto scalpore che il telescopio SOFIA abbia individuato ghiaccio sulla Luna? Prima di tutto perchè, per la prima volta, la rilevazione non è avvenuta in una regione polare. Si tratta del cratere Clavius , nella parte sud-occidentale dell’emisfero lunare rivolto verso la Terra. Altra singolarità: non si tratta di un cratere in ombra. Ciò avrebbe dovuto escludere a priori la presenza di molecole d’acqua perchè l’incidenza di raggi UV di matrice solare ha energia sufficiente per “scombinare” l’idrogeno dall’ossigeno. Infatti, quella porzione lunare era sotto osservazione del SOFIA perchè potesse poi essere utilizzato come metro di paragone con le aree polari, dunque è stata una scoperta fortuita e inaspettata e, in quanto tale, ci sono dei però.
Il primo è che non abbiamo idea di come sia intrappolata l’acqua nel sottosuolo: potrebbe, nella migliore delle ipotesi, essere bloccata tra granelli di regolite, altrimenti un’ipotesi peggiore per un’eventuale missione futura di estrazione è che sia in capsule di vetro vulcanico di milioni di anni fa, mentre l’ipotesi di laghi ghiacciati sublunari pare da escludere. L’ipotesi vulcanica, oltre ad implicare tecniche di estrazione più complesse e costose, limiterebbe la presenza d’acqua alle zone in cui l’attività vulcanica era più intensa. Il secondo però è che non possiamo sapere se tutta la superficie lunare sia composta come il cratere Clavius o se abbiamo avuto a che fare con un’anomalia, andranno fatte altre misurazioni.
In questo verso vanno i progetti future delle agenzie spaziali di vari stati. Tra due anni è previsto che Chang-E5, rover dell’agenzia spaziale cinese, riporti sulla terra 2,5 kg di materiale lunare per ulteriori analisi, mentre il rover VIPER ripercorrerà i crateri lunari nei prossimi anni secondo il programma Artemis. Trasversalmente SOFIA dovrà tornare in volo tra un anno per estendere le misurazioni a porzioni lunari più ampie e magari anche chiarire quale sia l’origine dell’acqua sul nostro satellite, amministrazione americana permettendo. Già, perchè fino a pochi giorni fa il progetto SOFIA sembrava avere i giorni contati: era stato valutato troppo costoso in relazione ai risultati apportati in dieci anni di attività, chissà che quest’ultima settimana non possa cambiare il suo destino.
Si tratta di un telescopio riflettore con un diametro di 2.5m impiantato su un Boeing-747SP, che volando ad una quota operativa di 12 km riesce ad eseguire misurazioni a infrarossi accurate senza lo schermo atmosferico (l’atmosfera attutisce del 90% i segnali a infrarossi provenienti dal cosmo). Il fatto che sia a bordo di un aereo presenta vantaggi in termini di efficacia delle misurazioni e di facilità di manutenzione, rispetto a telescopi ugualmente potenti in orbita. Uno strumento così potente sarebbe quasi sprecato per la sola osservazione lunare, in effetti ha mire che vanno ben oltre la Luna, poichè SOFIA è stato il primo strumento ad analizzare la sottile atmosfera di Plutone, addirittura consente lo studio di stelle e supernove distanti migliaia di anni luce, fornendo dati cruciali riguardo la loro formazione. Tuttavia, per misurazioni così delicate, anche la minima vibrazione della superficie della superficie dell’aeromobile, o una lieve turbolenza, falserebbero totalmente i dati ottenuti, motivo per cui il telescopio è montato su un sistema-stabilizzatore ultra-sensibile che ne esalta le funzioni.
Non sappiamo ancora quale sarà il futuro del telescopio SOFIA, quel che è certo è che, solo considerando il contributo che ha fornito il suo ultimo viaggio, è valso ogni singolo centesimo speso per il suo servizio. Ha spalancato le porte a decine di future missioni finalizzate all’estrazione dell’acqua, fattore che diventerà cruciale nell’ottica della base lunare che si vuole insediare nei prossimi 20 anni.
La speranza per il futuro è quella di poter estrarre il ghiaccio dal suolo per avere acqua da bere, ossigeno respirabile, idrogeno per i combustibili direttamente nell’ambiente lunare, abbattendo i costi di trasporto della materia prima fondamentale per la vita. Alcuni diranno che stiamo andando a prosciugare la Luna, ebbene costoro sappiano che è stata stimata la presenza di un volume di ghiaccio pari a un miliardo di metri cubi. Vorrebbe dire che un’eventuale colonia umana sulla Luna avrebbe disponibilità di acqua “in loco” per centinaia di migliaia di anni, tempo in cui avremo senz’altro modo di adattarci ed individuare altre fonti di acqua estraibile esterne (meteore, comete…) senza danneggiare permanentemente l’equilibrio geologico lunare.