#AESASpazio – Il problema degli Space Debris

I satelliti in orbita sono alla base delle nostre vite moderne. Sono utilizzati in molti settori e discipline, tra cui l’astrofisica, l’osservazione della Terra, la meteorologia, la ricerca sul clima, le telecomunicazioni, la navigazione e l’esplorazione dello spazio. Essi offrono una prospettiva unica, una risorsa per la raccolta di dati scientifici, opportunità commerciali e varie altre applicazioni che portano a possibilità impareggiabili per la ricerca.
Tuttavia, negli ultimi decenni, con l’aumento delle attività spaziali, un nuovo e inaspettato pericolo ha iniziato ad emergere: i cosiddetti “space debris”, ovvero i detriti spaziali.
In più di 60 anni di attività spaziali, più di 6050 lanci hanno portato a circa 56000 oggetti tracciati in orbita, di cui circa 28000 rimangono nello spazio e sono regolarmente monitorati dalla rete di sorveglianza spaziale degli Stati Uniti e mantenuti nel loro catalogo, che copre oggetti delle dimensioni di circa 5-10 cm in orbita terrestre bassa (LEO) ed oggetti grandi tra i 30 cm ed un metro ad altitudini geostazionarie (GEO). Solo una piccola frazione dei satelliti lanciati – circa 4000 – sono intatti e operativi ad oggi.

Si stima che la quantità di oggetti immessi in orbita dall’uomo ad oggi abbia una massa totale di oltre 9300 tonnellate.
Circa il 24% degli oggetti catalogati sono satelliti (meno di un terzo dei quali sono operativi), e circa l’11% sono stadi superiori o comunque oggetti legati al lancio di un vettore.
Più di 560 eventi di frammentazione in orbita sono stati registrati dal 1961. Solo 7 eventi sono stati associati a collisioni; la maggior parte degli episodi sono state esplosioni, tuttavia si prevede che in futuro le collisioni diventeranno la fonte dominante di detriti spaziali.
Si presume che questi eventi di frammentazione abbiano generato una popolazione enorme di oggetti di dimensione superiore a 1 cm, nell’ordine delle novecentomila unità. Il flusso sporadico di meteoriti naturali può prevalere su quello di detriti di origine umana solo quando si parla di dimensioni comprese tra 0,1 ed 1 mm.

La causa principale delle esplosioni in orbita è legata al combustibile residuo o ad altre fonti di energia che rimangono a bordo una volta che lo stadio successivo di un razzo o un satellite sono stati immessi in orbita terrestre.

L’innesco spesso è causato dal fatto che, nel corso del tempo, l’ambiente inospitale dello spazio può ridurre l’integrità meccanica delle parti esterne e interne, portando a perdite e/o miscelazione dei componenti del propellente, che potrebbe innescare l’autoaccensione. L’esplosione risultante può distruggere l’oggetto e diffondere numerosi frammenti in un ampio spettro di direzioni a varie velocità.

La principale fonte di detriti dopo la frammentazione è il rilascio di ossido di alluminio sotto forma di polveri di dimensioni micrometriche da parte di più di 2460 motori a razzo a combustibile solido.

Il team di controllo missione dello Swarm-B mentre esegue una manovra per evitare una collisione con un detrito.

Un altro contributo è stato dato dall’espulsione dei nuclei dei Buk, cioè dei reattori termoelettrici nucleari, dopo la fine del funzionamento dei satelliti di ricognizione radar oceanica sovietici negli anni ’80. In almeno 16 di questi eventi di espulsione, numerose gocce di liquido refrigerante del reattore (una lega di potassio e sodio) sono state rilasciate nello spazio.

Infine, sotto l’influenza di radiazioni ultraviolette estreme, l’impatto di ossigeno atomico e microparticelle erodono le superfici degli oggetti in orbita. Ciò comporta una perdita di massa dei rivestimenti superficiali e il distacco di tracce di vernice con dimensioni nell’ordine dei micrometri.

La prima collisione accidentale in orbita tra due satelliti è avvenuta il 10 febbraio 2009, a 776 km di altitudine sopra la Siberia. Un satellite americano di proprietà privata, Iridium-33, e un satellite militare russo, Kosmos2251, si sono scontrati distruggendosi e generando più di 2300 frammenti, alcuni dei quali sono rientrati in atmosfera, bruciando completamente.

A qualsiasi altitudine, la generazione di detriti attraverso normali operazioni di lancio, esplosioni e altri eventi di rilascio è contrastata da meccanismi di pulizia naturali, come la resistenza all’aria e l’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna e dal Sole. Il risultato di questi effetti di bilanciamento è una concentrazione dipendente dall’altitudine e dalla latitudine dei detriti spaziali.

Le concentrazioni massime di detriti possono essere notate ad altitudini nel range 800-1000 km e vicino ai 1400 km. Le densità spaziali in GEO e vicino alle orbite delle costellazioni satellitari di navigazione sono più piccole di due o tre ordini di grandezza rispetto a quelle nelle “zone più affollate”.

Con i tassi di lancio attuale, cioè circa 110 partenze ogni anno, e con le future esplosioni che continuano a verificarsi ad un tasso di 10-11 all’anno, il numero di debris nello spazio aumenterà costantemente. Come conseguenza della crescita degli oggetti detritici, anche la probabilità di collisioni catastrofiche crescerà progressivamente; raddoppiando il numero di oggetti aumenterà il rischio di collisione di circa quattro volte.

Se la politica delle agenzie spaziali e delle compagnie private non subirà modifiche sostanziali nei prossimi anni, tali collisioni inizieranno a prevalere sulle esplosioni generando un effetto a catena in cui i frammenti di collisioni si scontreranno con i frammenti di altre collisioni, fino a quando l’intera popolazione di satelliti e detriti verrà ridotta a dimensioni subcritiche.
Questo processo autosufficiente, particolarmente critico per la regione LEO, è conosciuto come la “Sindrome di Kessler”. Deve essere evitata applicando tempestivamente misure di mitigazione e risanamento su scala internazionale.

Fonti: ESA
In foto: Il team di controllo missione dello Swarm-B mentre esegue una manovra per evitare una collisione con un detrito.