#AESASpazio – I nuovi orizzonti dell’esplorazione robotica spaziale

2020, ormai da anni bussiamo alle porte di Marte e poco alla volta il nostro vicino ci sta lasciando entrare. Tuttavia, trattandosi di una storia che va avanti da più di 50 anni (la prima sonda ad avvicinarvisi con successo e a fotografarne la superficie fu Mariner 3 nel 1964), abbiamo più volte dovuto rivalutare il nostro approccio al pianeta per ottimizzare costi e risultati ottenuti.

I diretti successori del programma Mariner furono Mars, di progettazione sovietica e Viking, americano: grazie a queste due missioni per la prima volta dei manufatti terrestri arrivarono a toccare la superficie marziana. A seguito di numerosi successi, tra cui quelli delle missioni menzionate, e altrettanti fallimenti, oggi siamo giunti ad Insight, ad ExoMars e ad una decina di altri programmi pronti a decollare nel decennio appena iniziato.
Fino ad ora abbiamo assistito ad una progressiva evoluzione dei mezzi esplorativi, ebbene su di essi si continua ad intervenire tutt’oggi per migliorarne le prestazioni e implementarvi caratteristiche che li rendano sempre più conformi all’ambiente marziano.
In questo verso si è mosso il JPL – Jet Propulsion Laboratory della NASA. La scintilla che ha innescato il loro progetto, ROBOSIMIAN, è stato il DARPA Robotics Challenge del 2013, una competizione organizzata dal Defence Advanced Research Projects Agency mirata allo sviluppo di un robot totalmente autonomo programmato per l’esplorazione di ambienti sotterranei terrestri e non.
La potenza del progetto ROBOSIMIAN è proprio nell’assoluta autonomia del robot, in grado di muoversi e svolgere qualunque tipo di compito senza la necessità di comandi a distanza, bensì seguendo i protocolli programmati. Così facendo si andrebbe ad eliminare l’ostacolo principale per quanto riguarda l’esplorazione del sottosuolo marziano, vale a dire gli elevati tempi di latenza nella comunicazione (un segnale impiega circa cinque minuti per arrivare dalla stazione di terra alla superficie marziana) e di conseguenza l’impossibilità di gestire situazioni di emergenza.
Altra qualità fondamentale del ROBOSIMIAN è nella sua enorme duttilità, trattasi infatti di un robot semi-umanoide dotato di quattro arti multiarticolati (per la precisione ciascuno dotato di sette articolazioni), il che lo rende perfettamente adattabile a qualunque tipo di forma e di terreno accidentato, nonché in grado di svolgere ogni tipo di attività umana, anche la guida di veicoli!
Rimanendo nell’ambito di innovazione robotica applicata all’esplorazione spaziale, sempre dal JPL della NASA è stato ultimato recentemente il LEMUR (Limbed Excursion Mechanical Utility Robot), che si configura come compagno ideale di ROBOSIMIAN. Infatti, se il primo ha caratteristiche funzionali alla sostituzione dell’operatore umano in alcuni compiti giudicati troppo rischiosi, il LEMUR si configura come un Rover con le stesse caratteristiche di autonomia, dunque la minore (possiamo dire quasi nulla) necessità di comandi da una stazione di terra.
Altra peculiarità del LEMUR è l’assenza di ruote, anch’esso infatti si serve di quattro arti meccanici, ciascuno dotato di sedici pinze a gancio che favoriscono una facile aderenza a pareti rocciose, andando dunque a ridurre di molto i tempi di percorrenza di superfici non congeniali ai Rover di attuale utilizzo, come Curiosity.
Proprio sull’attuale modello di LEMUR si sta sviluppando il progetto Ice Worm, un derivato che riesca ad adattarsi anche a superfici ghiacciate; non a caso nel JPL ritengono che, con le dovute implementazioni, questo Rover quadrupede possa essere il migliore candidato all’esplorazione superficiale di Europa e di Encelado, satelliti di Giove e Saturno.
Il tassello finale del puzzle del Jet Propulsion Laboratory per quanto riguarda la ricerca marziana, dopo aver individuato dispositivi ottimali per lo studio del sottosuolo e della superficie, non può non interessare l’atmosfera. L’idea attuale è quella di spedire un drone alimentato ad energia solare, il Marscopter, che come ROBOSIMIAN e LEMUR avrà una quasi totale autonomia dai comandi, che si limiteranno ad essere dei rapidi check di preparazione ai test di volo.
Gli ostacoli a questo progetto non sono pochi, in primis la densità dell’atmosfera di Marte, circa cento volte più rarefatta di quella terrestre; è un fattore critico, indicativo del fatto che a parità di altre condizioni lo stesso drone avrà una portanza cento volte minore di quella che avrebbe sulla Terra. Per ovviare a questo problema si è intervenuto principalmente sulla massa del Marscopter, ridotta a solamente 1,8 Kg, e sul numero di giri delle pale, che ruotano ad una velocità di circa 3000 rpm – giri al minuto- , così da ottenere un rapporto potenza/peso elevatissimo e ottimale per il contesto della missione.
Quest’ultimo velivolo sarà il primo dei dispositivi trattati a debuttare in una missione, infatti a luglio sarà a bordo dell’Atlas V541 per la missione Mars 2020, diventando così il primo velivolo a pilotaggio remoto lontano dal nostro pianeta.
Il quadro è completo, tre strumenti progettati su misura per l’ambiente marziano e per una totale cooperazione nel raccogliere dati cruciali sul Pianeta Rosso ove, un giorno più o meno vicino, metteremo anche noi piede grazie a ROBOSIMIAN, a Marscopter, a Lemur e a tutti i loro predecessori.