#AESASpazio – Apollo 13: Il fallimento di maggior successo della storia della NASA

E’ l’11 aprile 1970 quando dal Launch Complex 39 il Saturn V SA-508 accende i motori al seguito dei “Go Fly” del Launch Control Center della NASA situato al Kennedy Space Center, ma facciamo un passo indietro. Gli Stati Uniti, il 20 luglio 1969, con la lo sbarco sulla Luna della Missione Apollo 11, ottennero il loro più grande successo nella corsa allo spazio contro l’Unione Sovietica. Dopo circa quattro mesi la missione Apollo 12 portò nuovamente con successo due uomini sulla Luna. Dopo queste due missioni, erano disponibili ancora otto Saturn V, ma l’interesse del grande pubblico stava scemando e il Congresso iniziò a tagliare il budget della NASA.

Ciononostante, la missione Apollo 13 si propose come portatrice di innovazioni e si riservò un ruolo di apripista per delle spedizioni più incentrate sulla scienza; in particolar modo, questa ebbe come scopo principale lo studio della geologia lunare. Questo aspetto venne inoltre enfatizzato dal motto “Ex Luna, Scientia” (dalla Luna, conoscenza), visibile sull’emblema della missione.

L’equipaggio originale doveva essere composto dal comandante Alan Shepard, il pilota del modulo lunare (LM, Lunar Module) Fred Haise e dal pilota del modulo di comando e servizio Ken Mattingly. Il comandante venne però sostituito da James Lovell sei mesi prima della partenza prevista, a causa di un’infezione uditiva. Inoltre, pochi giorni prima del lancio, il 6 aprile, un membro dell’equipaggio di riserva risultò affetto da morbillo, ed essendo Mattingly l’unico non immune in seguito a dei test medici, venne sostituito dal pilota del CSM (Command and Service Module) di riserva John “Jack” Swigert.

Il lancio avvenne all’orario previsto, le 14:13 EST dell’11 aprile. Dopo 5 minuti e 30 secondi fu avvertita una forte vibrazione, dovuta all’effetto pogo, ergo delle oscillazioni causate dagli sbalzi nell’erogazione di propellente. Queste furono generate dallo spegnimento del motore centrale del secondo stadio, avvenuto due minuti in anticipo. Problemi di questo tipo erano noti alla NASA, ma a causa della data del lancio non ci fu il tempo per effettuare gli interventi necessari sul vettore della missione. Risultò poi dalle analisi post volo che venne sfiorato un guasto catastrofico. A causa di questa anomalia gli altri quattro motori del secondo stadio e il motore S-IVB del terzo stadio dovettero rimanere in funzione più a lungo del previsto. Due ore dopo, nonostante i problemi, venne effettuata l’ultima accensione necessaria a raggiungere la traiettoria di inserzione lunare (TLI).

Successivamente venne effettuato il distacco del terzo stadio e il riallineamento del modulo di comando Odissey con esso, operazione necessaria a recuperare il modulo lunare Aquarius. Dopodiché i controllori di terra riaccesero i motori del terzo stadio per portarlo in traiettoria di impatto con il suolo lunare, che avvenne poco più di tre giorni dopo e venne rilevato dai sismografi portati dalla missione Apollo 12, fornendo dei dati sullo studio della struttura della Luna. Quando il completamento di questa fase venne raggiunto e comunicato agli astronauti, ancora in viaggio, essi commentarono come questa fu “l’unica cosa riuscita correttamente della missione”.

Dopo 30 ore 40 minuti e 50 secondi dall’inizio della missione, l’equipaggio eseguì un’accensione del motore principale del modulo di servizio per posizionare la navetta su una traiettoria ibrida. Prima, Apollo 13 si trovava in una rotta di ritorno libero, cioè una in cui se non ci fossero state accensioni del motore, la navetta sarebbe ritornata sulla Terra dopo aver circumnavigato la Luna. Con una traiettoria di ritorno libero per l’equipaggio sarebbe stato possibile raggiungere solo i siti di allunaggio più vicini all’equatore lunare, mentre la traiettoria ibrida, che poteva essere intrapresa in qualsiasi momento dopo la manovra di inserimento nella TLI, consentiva di raggiungere siti con latitudini più elevate, come lo era il cratere di Fra Mauro, il loro obiettivo. Durante una trasmissione televisiva in diretta, Swigert confessò di aver omesso di presentare la sua dichiarazione dei redditi federale (prevista per il 15 aprile) e, tra le risate dei controllori della missione, chiese come avrebbe potuto ottenere una proroga. Successivamente gli venne concessa una deroga di 60 giorni per il fatto di essere stato fuori dal paese alla scadenza.

A 55 ore dal lancio era stata prevista un’ulteriore diretta televisiva, al termine della quale Apollo 13 si trovava a circa 330000 km dalla Terra. Successivamente, alcuni controlli di routine vennero effettuati sotto supervisione dei CAPCOM di terra: venne eseguita una modifica di assetto per facilitare la fotografia della cometa C/1969 Y1 Bennet e, siccome il sensore di pressione di uno dei serbatoi di ossigeno del modulo di servizio era apparso in precedenza mal funzionante, il controllore incaricato di monitorare il sistema elettrico richiese l’attivazione dei mescolatori dei serbatoi. Normalmente questa azione veniva eseguita una volta al giorno per rendere più accurate le letture della pressione. Il direttore di volo, Gene Kranz, fece aspettare la richiesta del controllore per alcuni minuti, affinché l’equipaggio si sistemasse dopo la fine della trasmissione televisiva, poi venne trasmessa la richiesta a Swigert che attivò gli interruttori che controllavano i sistemi.

Novantacinque secondi dopo che Swigert ebbe attivato questi interruttori, gli astronauti sentirono un ”botto piuttosto grande”, accompagnato da fluttuazioni di energia elettrica e dall’accensione dei propulsori di controllo dell’assetto. Per 1,8 secondi vennero perse le comunicazioni e la telemetria verso la Terra, che vennero ripristinate grazie alla commutazione automatica dell’antenna in banda S ad alto guadagno, utilizzata per le comunicazioni translunari. L’incidente avvenne dopo 55 ore, 54 minuti e 53 secondi dalla partenza (alle ore 22:08 EST del 13 aprile). Ventisei secondi dopo, Swigert riferì al centro di controllo: ”Okay, Houston, abbiamo avuto un problema qui”, a cui subito dopo Lovell fece eco con la celebre frase “Houston, we have had a problem.

Il pensiero iniziale di Lovell nel sentire il rumore fu che Haise avesse attivato la valvola di ripressurizzazione della cabina della LM, la quale produceva un botto, ma subito si accorse che il suo compagno non avesse idea di cosa fosse successo. Swigert invece pensò che un meteoroide avesse colpito il LM, ma fu immediatamente chiaro che non vi erano delle perdite. La sottotensione del pannello principale B significava che non vi era tensione sufficiente dalle tre celle a combustibile del modulo di servizio (alimentate da idrogeno e ossigeno provenienti dai rispettivi serbatoi) al secondo dei due sistemi di distribuzione di energia elettrica. Quasi tutte le apparecchiature presenti nel CSM richiedevano energia. Sebbene il bus fosse tornato momentaneamente allo stato normale, presto i bus A e B si rivelarono in sottotensione. Haise verificò lo stato delle celle a combustibile e scoprì che due di esse erano scariche. Le regole della missione proibivano l’ingresso nell’orbita lunare se non vi fossero state tutte le celle a combustibile operative.

Nei minuti successivi all’incidente, ci furono diverse letture insolite della strumentazione, che mostravano che il serbatoio 2 era vuoto e che la pressione del serbatoio 1 diminuiva lentamente, che il computer sul veicolo spaziale si era ripristinato e che l’antenna ad alto guadagno non funzionava. A causa della tensione del momento Liebergot, il controllore che in origine aveva richiesto il rimescolamento dei serbatoi, non si accorse dei preoccupanti valori relativi al serbatoio 2, concentrandosi maggiormente sul serbatoio 1 e credendo che i valori di quest’ultimo valessero anche per il secondo, un errore che fecero anche gli specialisti che lo supportavano. Quando il direttore del volo Kranz gli chiese in merito alla situazione, Liebergot rispose che potevano esserci state delle false letture a causa di un problema di strumentazione. Tuttavia, Lovell, guardando fuori dal finestrino, riferì che “un gas di qualche tipo” si stava disperdendo nello spazio, chiarendo così che vi fosse un problema serio. Dato che le celle a combustibile avevano bisogno dell’ossigeno per funzionare, quando il serbatoio di ossigeno 1 fosse rimasto vuoto la cella a combustibile si sarebbe spenta e le uniche fonti significative di energia della navetta sarebbero state le batterie del modulo di comando, necessarie per le ultime ore della missione, ma la cella a combustibile rimanente del modulo di servizio stava già attingendo da queste ultime. Kranz, allora, ordinò l’isolamento del serbatoio di ossigeno del modulo di comando, al fine di risparmiarlo, ma ciò significò l’esaurimento della cella a combustibile rimanente in meno di due ore, poiché l’ossigeno nel serbatoio 1 venne consumato e in parte disperso Inoltre, lo spazio intorno alla navetta spaziale si riempì di piccoli frammenti di detriti provenienti dall’esplosione, rendendo complicato qualsiasi tentativo di usare le stelle per la navigazione. Con questa situazione l’obiettivo della missione divenne quindi di riportare in vita gli astronauti sulla Terra.

Siccome il modulo lunare aveva equipaggiate batterie e serbatoi pieni di ossigeno previsti per un utilizzo sulla superficie lunare, Kranz ordinò che gli astronauti si spostassero sull’Aquarius e lo usassero come una ”scialuppa di salvataggio”, uno scenario preso in considerazione in precedenza ma considerato altamente improbabile. Le procedure per l’utilizzo del LM in questa maniera erano state sviluppate dai controllori di volo dopo una simulazione di addestramento per l’Apollo 10 in cui il modulo era necessario per la sopravvivenza, ma non poteva essere attivato in tempo. Se l’incidente dell’Apollo 13 si fosse verificato durante il viaggio di ritorno, con il modulo lunare già utilizzato, gli astronauti sarebbero morti.

Una decisione chiave è stata la scelta del percorso di ritorno. Un ”aborto diretto” della missione avrebbe utilizzato il motore principale del modulo di servizio (Service Propulsion System) per invertire la rotta e tornare indietro prima di raggiungere la Luna, ma c’era il rischio che l’incidente avesse danneggiato l’SPS, e le celle a combustibile avrebbero dovuto durare almeno un’altra ora per soddisfare il suo fabbisogno energetico, così Kranz decise invece di percorrere una traiettoria più lunga. L’Apollo 13 era sulla traiettoria ibrida che doveva portarlo all’altopiano di Fra Mauro, mentre fu deciso che si sarebbe dovuto spostare su una traiettoria circumlunare di ritorno libero.

Il sistema di discesa del modulo lunare (Descent Propulsion System), anche se non potente come l’SPS, teoricamente era in grado di modificare la rotta, ma un nuovo software per i computer di controllo missione doveva essere scritto dai tecnici, in quanto non era mai stato contemplato che il veicolo spaziale costituito dal modulo di comando e quello lunare venisse manovrato dal LM. Mentre il CM veniva spento, Lovell copiò le informazioni necessarie a mantenere l’assetto dell’Apollo 13 dal computer di controllo missione, ed eseguì numerosi calcoli manualmente per trasferirli al sistema di guida del LM. Su sua richiesta il Controllo Missione controllò i suoi calcoli. A 61:29:43.49 dall’inizio della missione, il DPS venne acceso per 34,23 secondi e posizionò l’Apollo 13 su una traiettoria di ritorno libero.

Il cambiamento di rotta avrebbe riportato l’Apollo 13 sulla Terra in circa quattro giorni – anche se con uno splashdown nell’Oceano Indiano, dove la NASA aveva poche forze di recupero. Venne proposta un’opzione che avrebbe tagliato di 36 ore il tempo di ritorno ma che avrebbe richiesto un distacco anticipato del modulo di servizio; questo avrebbe esposto lo scudo termico del modulo di comando allo spazio durante il viaggio di ritorno, cosa per cui non era stato progettato. Dopo una riunione che coinvolse alti funzionari e ingegneri della NASA, venne decisa un’ulteriore accensione del DPS, che avrebbe risparmiato 12 ore e avrebbe fatto atterrare l’Apollo 13 nel Pacifico. L’operazione ”PC+2” avrebbe avuto luogo due ore dopo il perilunio, il momento di massima vicinanza alla Luna. Al perilunio, l’Apollo 13 stabilì il record, ancora imbattuto, per la più alta altitudine mai raggiunta da un veicolo spaziale con equipaggio: 400171 chilometri dalla Terra, alle 19:21 EST del 14 aprile.

Normalmente, l’assetto durante l’accensione sarebbe stato garantito controllando l’allineamento del veicolo rispetto alla posizione di una delle stelle utilizzate normalmente per orientarsi durante la navigazione, ma la luce riflessa sui molti frammenti che accompagnavano la navicella spaziale lo rese impraticabile. Gli astronauti usarono l’unica stella disponibile la cui posizione non poteva essere oscurata, il Sole. Houston li informò inoltre che la Luna avrebbe dovuto essere centrata nella finestra del comandante del modulo lunare durante l’accensione. Il motore venne attivato dopo 79:27:38.95 dal lancio, e durò per quattro minuti e 23 secondi. L’equipaggio successivamente spense la maggior parte dei sistemi LM per conservare energia, necessaria al rientro.

Sebbene il modulo lunare trasportasse abbastanza ossigeno, emerse il problema di rimuovere l’anidride carbonica dall’ambiente, che normalmente veniva rimossa da alcuni filtri a base di idrossido di litio che erano stati progettati per ospitare due astronauti per 45 ore sulla Luna, e non erano quindi sufficienti a supportare tre astronauti per il viaggio di ritorno sulla Terra. Il Modulo di comando aveva abbastanza filtri, ma erano di forma e dimensioni sbagliate per essere utilizzati nel modulo lunare. Gli ingegneri a terra dovettero escogitare un modo per risolvere il problema, utilizzando ciò che gli astronauti avevano a bordo, cioè plastica, copertine strappate dai manuali delle procedure, nastro adesivo e altri oggetti. Gli ingegneri della NASA chiamarono il dispositivo improvvisato “la cassetta delle lettere”. La procedura per la costruzione del dispositivo venne letta all’equipaggio dal CAPCOM Joseph Kerwin nel corso di un’ora, e venne costruita da Swigert e Haise; i livelli di anidride carbonica iniziarono a scendere immediatamente. Lovell in seguito descrisse questa improvvisazione come “un bell’esempio di cooperazione tra terra e spazio”.

Un altro problema che si presentò fu che l’elettricità del modulo di servizio proveniva da celle a combustibile che producevano acqua come sottoprodotto organico, ma il modulo lunare era alimentato da batterie argento-zinco che non ne producevano, quindi sia l’energia elettrica che l’acqua (necessaria per il raffreddamento delle apparecchiature e per bere) sarebbero state scarse. Il consumo di energia del LM venne ridotto al minimo; Swigert fu in grado di riempire alcuni sacchetti di acqua del rubinetto del modulo di comando, ma anche razionando il consumo personale, Haise calcolò che sarebbero rimasti senza acqua per il raffreddamento circa cinque ore prima del rientro. Ciò sembrò accettabile perché i sistemi del modulo lunare dell’Apollo 11, una volta abbandonato in orbita lunare, avevano continuato a funzionare per sette/otto ore dall’esaurimento dell’acqua. Alla fine, l’Apollo 13 arrivò sulla Terra con 12,8 kg di acqua rimanente. La razione dell’equipaggio era di 0,2 litri di acqua al giorno; i tre astronauti persero circa 5kg a testa e Haise sviluppò un’infezione del tratto urinario, probabilmente causata dalla ridotta assunzione di acqua, ma la microgravità e gli effetti della radiazione cosmica potrebbero aver compromesso la reazione del suo sistema immunitario.

All’interno della navicella oscurata, la temperatura scese fino a raggiungere dei picchi minimi di 3°C. Lovell e Haise indossarono i loro stivali pensati per la camminata sulla luna. Tutti e tre gli astronauti patirono il freddo, in particolare Swigert, che aveva i piedi bagnati a causa delle operazioni di riempimento delle borse d’acqua. Siccome gli era stato detto di non scaricare l’urina nello spazio per evitare di modificare la traiettoria, dovettero conservarla in dei sacchetti. L’acqua si condensò sulle pareti, ed anche se ciò non causò problemi n´e cortocircuiti, in parte grazie degli estesi miglioramenti dell’isolamento elettrico introdotti dopo l’incendio dell’Apollo 1, l’equipaggio si disse non poco preoccupato.

Il controllore di volo John Aaron, insieme a diversi ingegneri e progettisti, escogitò una procedura per il rientro che prevedeva di riattivare il modulo di comando in seguito allo spegnimento avvenuto nelle ore successive all’incidente, qualcosa che non era mai stato fatto in volo, tanto meno in gravi condizioni in termini di potenza e tempo come nella situazione dell’Apollo 13. Gli astronauti eseguirono la procedura senza apparente difficoltà. Kranz in seguito lo accreditò al fatto che tutti e tre gli astronauti erano stati piloti collaudatori, abituati a dover lavorare in situazioni critiche.

Nonostante l’accuratezza dell’iniezione transterrestre, la navicella si allontanò lentamente dalla rotta, richiedendo una correzione. Poiché il sistema di guida del modulo lunare era stato disattivato dopo l’accensione dei motori avvenuta a PC+2, all’equipaggio fu detto di usare la linea tra la notte e il giorno visibile sulla Terra per orientarsi, una tecnica usata nelle missioni in orbita terrestre dalla NASA, ma mai sulla via del ritorno dalla Luna. Questa accensione del DPS, avvenuta a 105:18:42 e durata 14 secondi, riportò con successo l’angolo di traiettoria di volo previsto entro limiti di sicurezza. Tuttavia, un’altra correzione fu necessaria a 137:40:13, ma questa volta venne utilizzato il Reaction Control System del modulo lunare, per 21,5 secondi. Il modulo di servizio venne fatto distaccare meno di mezz’ora dopo, permettendo all’equipaggio di vedere il danno per la prima volta, e fotografarlo. Riferirono che mancava un intero pannello esterno del SM, le celle a combustibile sopra il ripiano del serbatoio dell’ossigeno erano inclinate, che l’antenna ad alto guadagno era danneggiata e c’era una notevole quantità di detriti sparpagliati dall’esplosione. Haise poté vedere vari danni al motore del SM, confermando la decisione di Kranz di non utilizzare il Service Propulsion System. Si pose poi la questione di come separare il modulo lunare a una distanza di sicurezza dal modulo di comando appena prima del rientro. La procedura normale, in orbita lunare, era quella di rilasciare il LM e quindi utilizzare il modulo di servizio per allontanare quello di comando, ma a questo punto il modulo di servizio era già stato rilasciato. Grumman, produttore del LM, assegnò ad un team di ingegneri dell’Università di Toronto il problema della pressione dell’aria da utilizzare per spingere i moduli a una distanza di sicurezza. Gli astronauti applicarono la soluzione, che ebbe successo. Il LM rientrò nell’atmosfera terrestre e fu distrutto, i pezzi rimanenti caddero nell’oceano. Quest’ultima fase generò preoccupazioni alla Commissione per l’energia atomica, che voleva che il contenitore contenente l’ossido di plutonio destinato allo SNAP-27 RTG atterrasse in un luogo sicuro. L’impatto avvenne sopra la fossa di Tonga nel Pacifico, uno dei suoi punti più profondi, e il contenitore affondò per oltre diecimila metri. Successivamente gli elicotteri non riscontrarono perdite radioattive.

L’ultimo problema da affrontare fu il rientro in atmosfera, durante il quale la ionizzazione dell’aria intorno al modulo di comando normalmente avrebbe dovuto causare un blackout delle comunicazioni di 4 minuti, ma il percorso di rientro dell’Apollo 13 lo allungò a sei minuti, il più lungo mai registrato; i controllori temettero che lo scudo termico del modulo di comando avesse fallito. Odyssey infine ristabilì il contatto radio e ammarò senza ulteriori problemi nell’Oceano Pacifico meridionale a 6,5 km dalla nave di recupero. Nonostante la stanchezza, l’equipaggio fu ritrovato in buone condizioni, ad eccezione di Haise. L’equipaggio rimase per la notte sulla nave, e il giorno dopo volarono fino alle Hawaii, dove il presidente Richard Nixon conferì loro la Medaglia Presidenziale della Libertà, il più alto onore civile.