Da sempre, e in particolare con l’aumento delle dimensioni e del peso degli aerei e dei carichi da trasportare, l’aviazione è stata vincolata alla lunghezza delle piste di decollo e di atterraggio, castrando notevolmente le capacità operative dei velivoli civili e militari.
È nato così il concetto di capacità STOL (Short Take Off and Landing): si iniziò a progettare velivoli con il preciso scopo di decollare e atterrare su piste di dimensioni decisamente ridotte, con elevati angoli d’attacco al decollo e basse velocità di atterraggio, così da poter raggiungere territori più remoti e operare in condizioni più restrittive.
Apparecchi del genere furono sviluppati e costruiti già a partire dagli anni 30 del ‘900, portando a un notevole sviluppo della tecnica, come l’introduzione di flap, e ali sovradimensionate per incrementare la portanza al decollo, aerofreni, inversori di spinta e in alcuni casi anche paracadute per ridurre le distanze di frenata e le velocità di atterraggio. Furono introdotti anche i sistemi J/RATO (Jet/Rocket Assisted Take Off): veri e propri propulsori esterni monouso per un ulteriore spinta al decollo.
Questa esigenza era particolarmente sentita in ambito militare, da sempre grande trainatore dell’aviazione, dove furono avviate ricerche per velivoli in grado di effettuare decolli e atterraggi verticali, eliminando completamente la necessità (e vulnerabilità) delle piste: era nato il concetto di VTOL (Vertical Take Off and Landing).
Il primo esemplare dotato di tali caratteristiche può essere individuato in un brevetto del noto inventore Nikola Tesla che nel 1828 presentò a un pubblico alquanto scettico il suo “Flivver Plane”, un aeromobile a decollo verticale con otto metri di apertura alare, che univa un propulsore a elica per la spinta orizzontale e uno per la portanza e la spinta in volo verticale.
Il primo vero tentativo di creare un aereo con capacità VTOL è invece da individuare nel Bachem BA.349, un intercettore sperimentale tedesco sviluppato senza molto successo nel 1945 e mai entrato in produzione. Questo prototipo decollava verticalmente tramite l’ausilio di una rampa di lancio e di razzi a propellente solido sganciabili (un sistema di tipo RATO, introdotto per la prima volta proprio dalla Luftwaffe per l’impiego su alianti).
L’atterraggio, invece, non era in alcun modo previsto, e solo alcune sezioni venivano recuperate tramite l’uso di paracadute.
Il progetto, sembrava promettente agli occhi dei gerarchi nazisti, ma fu abbandonato dopo alcuni incidenti e la conquista del principale stabilimento da parte degli alleati, andando ad allungare la lista dei disperati tentativi del Führer di trovare una super arma che potesse ribaltare le sorti di una guerra ormai già persa.
Durante la guerra fredda, in quella che può essere considerata l’età dell’oro dell’aviazione militare, milioni di dollari (e rubli) furono investiti dalle due superpotenze e dai loro alleati per mantenersi alla testa di una continua corsa agli armamenti.
In questi anni di tensioni l’idea di un aereo dotato di capacità VTOL assunse sempre più importanza all’interno dei progetti (e dei bilanci) degli stati maggiori dei due blocchi, che si misero a caccia di un apparecchio che potesse coniugare le capacità, l’autonomia, la velocità e i vantaggi dei ben collaudati aerei ad ala fissa con quelli dei velivoli ad ala rotante (gli elicotteri sono a tutti gli effetti classificabili come VTOL). Ciò avrebbe permesso di eliminare la necessità di piste lunghe e vulnerabili, che erano ormai diventate obbiettivi militari primari, e allo stesso tempo ampliare le capacità operative delle portaerei.
Da queste ricerche, nasceranno alcuni degli aerei più bizzarri di sempre, tecnologie estremamente innovative, ma soprattutto aerei che hanno segnato l’immaginario comune e i manuali di storia militare.
Sulla scia del Bachem BA.349, una delle prime soluzioni esplorate dai team di ricerca fu quella dei cosiddetti “tailsitters” . Questi primi velivoli sperimentali adottavano un’ inusuale configurazione verticale della fusoliera, con il carrello montato sulla coda, mentre la propulsione era affidata a un singolo motore a elica, che permetteva il sollevamento in verticale durante il decollo e poi il passaggio a volo orizzontale.
più famosi che adottarono questa configurazione furono il Convair XFV-1 Pogo e il Lockheed XFV-1 Salmon, rivali in corsa per un contratto con le forze armate statunitensi, che però non fu mai assegnato a causa dei problemi di questo tipo di design, come la scarsa visibilità e manovrabilità in fase di decollo e atterraggio.
Con lo sviluppo dei motori a turbogetto e la loro sempre maggiore potenza si aprirono nuove possibilità di sperimentazione.
Nacque così a metà anni 50 il Ryan X-13 Vertijet, un prototipo puramente dimostrativo monomotore con ala a delta, dotato di thrust vectoring (TVC o spinta direzionale). Furono prodotti due soli esemplari, che eseguirono numerosi test operando in un ambiente che simulava l’hangar di una portaerei e utilizzando una rampa verticale per decollo e atterraggio. La riuscita di questo progetto dimostrò efficacemente la reale possibilità di condurre operazioni VTOL con un singolo motore turbogetto, aprendo la strada a una nuova era dell’ aeronautica.
Un esemplare forse unico nel suo genere, nato dalle sperimentazioni con i nuovi motori turbogetto fu lo SNECMA C450 Colèoptére, basato su un innovativo design ad ala anulare.
Il suo aspetto quanto mai bizzarro fece immediatamente presa sulla cultura di massa francese, ma a causa di gravi problemi di manovrabilità e di un incidente fatale, il programma fu interrotto dopo pochi anni.
Dopo questi tentativi che raccolsero poco successo, la configurazione tailsitter, protagonista nella corsa allo spazio, verrà abbandonata nella ricerca VTOL in favore di fusoliere con il classico orientamento orizzontale.
All’inizio degli anni ’60 gli sforzi della francese Dassault, a partire dal già collaudato Mirage III, portarono allo sviluppo del Dassault Mirage III-V, poi rinominato Dassault Balzac.
Questo prototipo disponeva di un motore da crociera principale per la spinta orizzontale e di otto motori di dimensioni minori (“lift jet”) disposti a coppie lungo la fusoliera per gestire la spinta verticale, con prese d’aria sopra la fusoliera e ugelli secondari sotto la superficie alare per la stabilizzazione.
Dopo due incidenti mortali che ne evidenziarono inesorabilmente la poca affidabilità il programma fu sospeso e l’aereo non entrò mai in servizio, ma i risultati dei test si dimostrarono promettenti per un futuro sviluppo.
Oltremanica anche le inglesi Bristol Siddeley e Hawker stavano portando avanti sperimentazioni per un nuovo aereo VTOL, ma scelsero di utilizzare un motore unico sia per la propulsione classica durante il volo di crociera che per la spinta nelle fasi di hovering e volo verticale. A questo scopo impiegarono quattro getti direzionabili posti ai lati della fusoliera e capaci di ruotare di 100° per un vero e proprio sistema di direzionamento della spinta o TVC (Trust Vectoring Control).
Il progetto si concretizzò nel Hawker Siddeley P1127 Kestrel, prototipo di successo dal quale derivò il caccia monoposto imbarcato da attacco al suolo Hawker Siddeley Harrier.
L’Harrier fu il primo aereo VTOL a entrare effettivamente in servizio e a raggiungere un notevole successo: fu adottato dalla RAF, dagli US Marines e dalla Marina Spagnola, Indiana nonché Italiana.
Nel corso dei decenni questa piattaforma fu ammodernata e aggiornata in varie versioni, il progetto fu preso in mano dal connubio Mc Donnel Douglas – BAe Systems che lo denominò McDonnel Douglas-BAe AV-8 .
In servizio continuato sin dagli anni 60, indiscusso protagonista (nonché chiave della vittoria inglese) della Guerra delle Falkland, è uno dei velivoli militari più longevi, e ancora oggi presta servizio nelle sue versioni aggiornate AV-8B Harrier II e AV-8B Harrier II Plus. Questo iconico aereo ha piene capacità VTOL ma viene più comunemente operato in modalità STOVL (Short Take Off and Vertical Landing) che prevede durante il decollo l’ausilio di uno “sky jump” (solitamente presente sulle portaerei mezzoponte come l’italiana MMI Cavour ) che è valso all’Harrier il soprannome di “jump jet”. Questa modalità operativa permette all’ Harrier di decollare con un carico (payload) decisamente superiore, sia in armamento che carburante, estendendo notevolmente il range utile delle missioni.
Durante la guerra fredda l’USSR, dopo svariati insuccessi nella sperimentazione di “lift jet” per prototipi STOL osservò con estremo interesse lo sviluppo del P1127 Kestrel e rispose presentando nel 1967 il suo dimostratore VTOL: lo Yakovlev Yak-36 “Freehand”, un prototipo monoposto bimotore dalle caratteristiche prese d’aria sul muso, dotato di 4 ugelli per il controllo di rollio e beccheggio durante il volo verticale.
Da questo primo prototipo, prodotto solo in quattro esemplari, fu sviluppato lo Yakovlev Yak-38 “Forger” che adottava però una soluzione monomotore affiancata da due lift jet.
Nonostante le alte aspettative sovietiche, con il suo ingresso in servizio nel 1976, sprovvisto di radar e mal equipaggiato, si rivelò estremamente inaffidabile e con una limitata capacità di carico e autonomia, a causa dell’elevata inefficienza durante le fasi di volo verticale: non era in alcun modo capace di reggere il confronto con l’Harrier.
L’idea di un VTOL non fu però accantonata dai sovietici, che all’inizio degli anni ’90 cercarono di superare la controparte occidentale con un nuovo progetto: lo Yakovlev Yak-41.
La propaganda sovietica lo definì il “primo VTOL supersonico” (anche se già il Mirage III-V e un prototipo tedesco – il VJ10 – avevano superato Mach 1 durante i test), qualità che mancava all’Harrier.
Nonostante le ottime capacità dimostrate e i vari record stabiliti lo Yak-41 non entrò mai in servizio, in quanto la marina sovietica, forte ormai di portaerei tuttoponte, optò per la versione imbarcata dei già ben collaudati e performanti Su-27 e Mig29.
A metà degli anni ’80 gli Stati Uniti iniziarono svariati programmi segreti per la creazione di un nuovo aereo in grado di sostituire non solo l’Harrier, ma molti degli aerei in servizio a Marina, Aviazione e Marines, tra cui F-16 e F18.
Da questi progetti nacque alla fine degli anni ’90 il programma Joint Strike Fighter (JSF) che si propose un obbiettivo molto ambizioso: lo sviluppo di un da caccia da attacco al suolo multiruolo e supersonico dotato di capacità VTOL e stealth: un aereo come non si era mai visto prima. I principali competitor che superarono le fasi iniziali furono le americane Boeing e Lockheed Martin, che presentarono rispettivamente l’ X-32B e l’ X-35B.
L’ X-32B era costruito intorno a un’ala a delta e adottava configurazione monomotore simile a quella dell’ Harrier, in cui il flusso d’aria del turbofan veniva deviato a due ugelli direzionali per direzionare la spinta durante le fasi di volo verticale. Il motore, per raggiungere i regimi necessari in condizioni di volo subsonico, necessitava però di una grande presa d’aria posta sotto il muso dell’aereo, che (oltre a causare problemi di rilevamento radar) gli valse il soprannome di “Monica” (ironico riferimento allo scandalo Clinton). Oltre ai problemi legati alle capacità stealth, durante i test furono osservati anche problemi di surriscaldamento dovuti alla re ingestione dei gas di scarico durante l’hovering.
L’ X-35B fu sviluppato con un design a singolo motore dotato di un ugello principale rotante per direzionare la spinta, che però alimentava con una trasmissione meccanica anche una lift fan ausiliaria (posta tra il motore e il cockpit) per una maggiore spinta verticale e, reindirizzando parte dei gas di scarico, due ugelli direzionali sub alari per un maggiore controllo e stabilità.
Durante i test svolti nel 2001 il prototipo della Lockheed dimostrò prestazioni nettamente superiori, completando in sequenza un decollo in soli 150 metri, una transizione supersonica e un atterraggio verticale, e fu decretato vincitore del JSF.
Nacque così l’F-35 Lightning-II, uno dei più formidabili velivoli militari di quinta generazione, che entrò in produzione nel 2006 in tre diverse varianti e in servizio per la prima volta nel 2015. Entrato inizialmente in servizio nei corpi di aviazione, marines e marina degli Stati Uniti, fu poi adottato anche da regno Unito e in seguito dall’ Italia (secondo partner internazionale per importanza) e poi da otto altri paesi, raggiungendo così l’obbiettivo di realizzare una piattaforma interforze che, con più versioni, sostituisca un’ampia gamma di velivoli di precedenti generazioni.
L’Italia è entrata a far parte del programma JSF nel 1999 con il ruolo di tier II partner, contribuendo con sostanziali investimenti nel corso degli anni, e si è così aggiudicata un ruolo di primaria importanza come sede di centri di manutenzione e aggiornamento per gli esemplari europei, ma anche di centri di produzione, portando un notevole indotto alle industrie nazionali del settore.
Il primo F-35 italiano, denominato AL-1, è stato consegnato nel 2015 e sono ancora in corso le consegne per raggiungere la quota prevista di 115 velivoli (ripartiti tra aviazione e marina), in una riforma atta a rinnovare profondamente le forze aree del nostro paese, rendendole all’ avanguardia a livello europeo.
Parallelamente all’impiego dei moderni motori a turbogetto, che si sono dimostrati particolarmente adatti alle necessarie caratteristiche di velocità e potenza degli aerei da caccia, non fu abbandonato l’impiego dei motori a elica (che hanno visto una loro evoluzione nei motori turboelica e turboalbero), portando alla nascita di una tipologia del tutto nuova di aerei: i convertiplani.
Figli dei primi esperimenti che cercarono di ibridare elicotteri e aerei per ottenere capacità operative di tipo VTOL, i convertiplani (il cui primo esemplare può essere individuato nel prototipo nazista Focke-Achgelis Fa-269, mai realizzato) sfruttano dei propulsori a elica basculanti. Inizialmente paralleli al suolo generano portanza come degli elicotteri, vengono progressivamente inclinati in avanti fino ai novanta gradi con l’aumento di quota e velocità, completando la transizione a volo orizzontale. Ciò permette di ottimizzare i consumi di carburante, perché durante il volo orizzontale la portanza viene generata dalle ali, lasciando ai propulsori il solo compito della trazione orizzontale.
Le due principali configurazioni che furono sperimentate sono quelle ad ala rotante (tiltwing), in cui è tutta l’ala a ruotare, e a rotore basculante (tiltrotor), dove si muovono solo le gondole/nacelle basculanti in cui sono alloggiati i rotori, posti in posizione terminale rispetto all’ala. Storicamente si è affermata questa seconda configurazione, perché meno suscettibile alle raffiche di vento e più efficace durante il volo verticale, al prezzo però di una maggiore complessità meccanica e dunque un maggior rischio di guasti.
All’inizio degli anni ’50 negli stati uniti fu sviluppato un primo prototipo di tiltrotor: il Trascendental Model 1-G, dotato di un singolo motore a 4 pistoni che alimentava con una trasmissione a due velocità una coppia di propulsori a tre pale, dotati di ciclico e collettivo per il volo verticale e superfici di controllo tradizionali per il volo in crociera.
La USAF si mostrò inizialmente interessata a questo progetto ma dopo poco ritirò i fondi promessi in favore del più promettente Bell XV-3, aereo di simile concezione che dimostrò con successo le enormi potenzialità di questo tipo di velivoli, effettuando tra il 1955 e il 1965 centinaia di voli.
Grazie ai fondi della NASA e dell’esercito statunitense la ricerca progredì e nacquero prima il Bell XV-15 (1977), che permise di esplorare più a fondo i possibili impieghi civili e militari dei convertiplani, e poi, dalla collaborazione di Bell e Boeing Helicopters, il Bell V-22 Osprey.
Sulla stessa linea dei suoi predecessori l’Osprey è dotato di due motori turboshaft che azionano due propulsori a elica con un diametro di 11 metri e mezzo montati in navicelle basculanti sulle due estremità delle ali.
I due motori sono collegati da un albero di trasmissione in modo da poter ripartire la potenza in caso di guasti e assicurare un atterraggio d’emergenza, sfruttando in parte anche il fenomeno di autorotazione delle pale in assetto di volo verticale.
Per garantire un efficiente impiego anche su portaerei il V-22 è stato aggiornato durante il suo sviluppo per poter ripiegare le pale dei rotori e ruotare le ali così da occupare meno spazio negli hangar e sui ponti di volo.
Dopo il primo decollo nel 1989, l’Osprey è diventato il primo convertiplano a entrare ufficialmente in produzione, e dal 2007 serve nelle flotte della marina e dei marines americani e giapponesi, con incarichi principalmente di ricognizione, soccorso e supporto.
Dal suo primo volo però i costi di sviluppo sono cresciuti a dismisura, e sono state ben 62 le morti causate dai vari incidenti durante lo sviluppo di questo velivolo, (ultimo dei quali avvenuto nel 2023, che ha portato a una sospensione dal servizio per alcuni mesi), sollevando numerose perplessità e critiche sulla sicurezza ed efficienza del V-22, che ha però saputo dimostrarsi alquanto efficiente nei teatri di guerra e nelle operazioni logistiche dei gruppi portaerei.
Con lo scopo di rimediare ad alcune falle di questa piattaforma certamente promettente è nato nel 2022 il Bell XV-280 Valor, successore designato dell’Osprey, il cui ingresso in servizio è previsto per il 2030.
A partire dalla tecnologia del Bell XV-15 e del V-22 l’italiana Leonardo ha sviluppato l’ Augusta-Westland AW690 che, dopo il suo primo volo nel 2003 e un lungo processo di test e certificazioni, è entrato in produzione nel 2022 e nel 2024 ha effettuato per la prima volta un appontaggio sulla portaerei italiana MMI Cavour.
Questo progetto segna una tappa miliare nello sviluppo dei convertiplani e più in generale dei VTOL, in quanto è il primo velivolo che non è stato progettato con scopi militari (anche se questa possibilità è prevista da Leonardo) , ma per applicazioni civili come il trasporto medico, il soccorso sanitario, ma anche il trasporto di personale sulle piattaforme petrolifere.
Già sperimentato parzialmente negli anni ’60 e ‘70 con il Curtiss-Wright X-19 e con il Bell X-22, è attualmente in via di sviluppo alla Bell un convertiplano quadricottero (derivato dal V-22). Questa configurazione, attualmente molto diffusa tra i droni commerciali di piccole e medie dimensioni, permetterebbe una maggiore stabilità e un notevole aumento del carico utile, ampliando l’impiego operativo dei convertiplani.
L’evoluzione dei velivoli orientati al raggiungimento di capacità VTOL è stato un crescendo di esperimenti e prototipi, tanto bizzarri e fantasiosi quanto, alcuni, di grande successo e importanza. Un processo tanto rapido, (che ha visto in sole 5 decadi e mezzo il passaggio dal BA-349 all’F-35) quanto dispendioso, sia in termini economici che, purtroppo, di vite umane. Un processo guidato dai fondi e dagli obbiettivi degli stati maggiori che ha riscritto i libri di teoria militare, ma che forse, in un futuro non troppo lontano, potrà portare ad applicazioni anche in campo civile, a partire dai servizi di emergenza e soccorso, all’impiego nella filiera del trasporto delle merci, le applicazioni sono numerose.
A cura di
Leonardo Scotti
FONTI:
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- https://afflictor.com/2014/10/22/old-print-article-tesla-and-his-flivver-plane-brooklyn-daily-eagle-1928/
- https://web.archive.org/web/20111024155224/http://www.vectorsite.net/avplatfm.html
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- https://plane-crazy.k-hosting.co.uk/Aircraft/Jets/Harrier/hawker_harrier.html
- https://www.theengineer.co.uk/content/archive/october-1954-the-flying-bedstead/
- http://www2.malignani.ud.it/WebEnis/aer/Portfolio/AV-8B_HARRIER_II_PLUS.pdf
- https://it.topwar.ru/180110-jeksperimentalnyj-samolet-vertikalnogo-vzleta-i-posadki-dassault-mirage-balzac-v-francija.html
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- https://leg16.camera.it/561?appro=89&Il+JSF+-+Joint+Strike+Fighter+-+nell%27industria+della+Difesa
- https://www.leonardo.com/it/news-and-stories-detail/-/detail/further-information-about-the-f-35-program
- https://helicopters.leonardo.com/it/products/aw609