#AeroAESA – Nato sotto una cattiva stella

Il TriStar fu un fallimento. Forse non è la miglior presentazione possibile, ma tant’è. Fu un fallimento perché vendette metà degli esemplari del suo principale rivale. Fu un fallimento perché fu l’ultimo velivolo commerciale prodotto da un’azienda storica come Lockheed. In definitiva, fu un fallimento perché fu il TriStar, e nulla più. Aspettate però a chiudere la pagina, perché come spesso accade le cose più belle sono quelle più sottovalutate, quelle che si ignorano e poi si rimpiangono. Il programma L-1011 TriStar nacque per coprire la fetta di mercato tra il nuovo Boeing 747 e i più vecchi Boeing 707 e Douglas DC-8. La necessità di un trimotore wide-body, messa in luce da American Airlines, fu presa in carico da Lockheed e da McDonnell Douglas. Gli approcci, però, furono radicalmente diversi. McDonnell Douglas attinse profondamente dalla tecnologia già impiegata per il DC-8. Lockheed, invece, aveva altri progetti. Per realizzarli chiamò a raccolta i propri ingegneri, veterani del C-130 Hercules, dell’F-104 Starfighter o dell’SR-71 “Blackbird”, quando non di tutti questi. A differenza di Boeing e McDonnell Douglas, Lockheed non aveva mai prodotto un jetliner e non poteva affidarsi alla tecnologia messa a punto su altri velivoli di questo tipo. La soluzione al problema fu estremamente complessa e al contempo straordinariamente semplice: sfruttare le migliori tecnologie disponibili o, se necessario, crearne di nuove.
Il prototipo che uscì dagli stabilimenti di Palmdale mostrava tutta l’eleganza estetica e ingegneristica dell’ultima stella nata nel firmamento Lockheed. Le forme proporzionate lo facevano apparire più piccolo del suo rivale, sebbene così non fosse. La fusoliera richiamava alla memoria un altro capolavoro della Stella, il Constellation. L’ala pulita consentiva una crociera silenziosa e, all’occorrenza, un massimo Mach operativo di 0.90. Due motori erano ospitati sotto l’ala, il terzo alla base dell’impennaggio verticale. A differenza del DC-10, il TriStar vantava una presa d’aria che garantiva una migliore aerodinamica e una minore traccia acustica. Alla fine del condotto un motore destinato a fare storia. Palette del fan in composito, architettura a tre alberi e miscelatore di flusso promettevano prestazioni ineguagliabili. Il Rolls-Royce RB211 appariva una scelta perfetta, tanto che fu selezionato come unico propulsore disponibile. Il primo passo verso il fallimento fu fatto ancora prima che il velivolo decollasse. I ritardi accumulati da Rolls-Royce rallentarono enormemente la produzione, lasciando campo libero al DC-10. Senza propulsori, Lockheed poteva offrire solamente il miglior aliante al mondo, non abbastanza per competere sul mercato.
Non tutto era perduto, però. Anche con qualche ritardo nella produzione il TriStar rimaneva un eccellente velivolo. Nel 1972 un esemplare condusse, è il caso di dire, l’equipaggio nel primo volo con passeggeri operato in modalità completamente automatica, dal decollo all’atterraggio. In confronto ai velivoli del tempo, il TriStar sembrava provenire da un’altra epoca. Mentre i primi esemplari entravano in servizio, gli ingegneri Lockheed erano già al lavoro sulle migliorie tecnologiche che avrebbero equipaggiato gli sviluppi futuri. Quei pionieri visionari dotarono l’L-1011-500, il TriStar definitivo, di un sistema in grado di regolare in modo simmetrico gli alettoni esterni al fine di ottimizzare la distribuzione di portanza sull’ala. Questo sistema, denominato Automatic Control System, era governato da un sofisticato, almeno al tempo, sistema fly-by-wire. Anziché regolare la manetta per minime variazioni di beccheggio, come avveniva su alti velivoli, il Performance Management System, uno dei primi FMS integrati ad entrare in servizio, governava l’assetto del velivolo tramite l’equilibratore, minimizzando il consumo di carburante e lo sforzo sui propulsori. Nemmeno la miglior tecnologia mai vista su un aereo di linea, Concorde (forse) escluso, fu tuttavia in grado di cambiare la sorte di un velivolo nato sotto una cattiva stella. Le accuse di corruzione legate al famigerato scandalo Lockheed gettarono discredito sulla casa produttrice. Nel 1983, dopo soli tredici anni e duecentocinquanta esemplari prodotti, la produzione cessò. A nulla, o quasi, valsero la comprovata affidabilità, la superiorità tecnologica o la sicurezza intrinseca nel progetto. A nulla servì tutto questo contro errate valutazioni di mercato, ritardi nella fornitura dei propulsori e danni di immagine. La storia del TriStar lascia un sapore amaro. Amato dai passeggeri, dagli equipaggi e dalle compagnie che lo operavano, non fu tuttavia in grado di andare oltre la nicchia che si era creato, e inevitabilmente fallì. Volendo semplificare, si potrebbe dire che il TriStar era semplicemente troppo all’avanguardia per la propria epoca. La qualità, la tecnologia e la sicurezza avevano un costo che per molte compagnie non era giustificabile. Ma c’è dell’altro. La stella avversa del TriStar fu proprio la terza. L’epoca d’oro dei trimotori fu breve e l’L-1011 finì vittima del mercato. Eppure, le cose avrebbero potuto andare diversamente. Sebbene fosse nato trimotore, il TriStar era stato concepito per poterne derivare una versione bimotore, ma proprio da motori fu tradito. Se Lockheed non fosse stata sconfitta dalle circostanze, l’L-1011 avrebbe probabilmente rivoluzionato il mondo dell’aviazione commerciale. Così non fu, e il TriStar segnò la fine del programma civile di Lockheed. Oggi, decine di RB211 volano ancora, mentre un solo L-1011, denominato Stargazer, solca i cieli. Cinquant’anni dopo il primo volo, il TriStar risplende come la fulgida luce di stelle ormai scomparse.