#AeroAESA – L’insostituibile F-14 Tomcat

Non sarebbe mai dovuto esistere.
La sua storia inizia proprio così: come un figlio indesiderato e non voluto, ma non da tutti.
Verso la metà degli anni ’60 in USA nacque l’esigenza di un intercettore imbarcato di lungo raggio per sostituire il mitico F-4 Phantom e l’idea, per ridurre i costi, fu quella di modificare l’allora in servizio F-111 Aardvark.
La storia narra che il Vice Ammiraglio Thomas Connolly combatté violentemente contro McNamara, l’allora Segretario della Difesa, provando a convincerlo che l’Aardvark era troppo grosso, pesante e inadatto alle portaerei.
Con la fatidica frase letteralmente urlata alle autorità governative “Non c’è abbastanza spinta in tutto il Creato per rendere questo aereo un caccia imbarcato!” Connolly ebbe la meglio ed il progetto fu affidato alla Grumman.
Dicono che l’accaduto gli costò la carriera, ma gli garantì l’immortalità: egli infatti era stato un pilota pluridecorato della Seconda guerra mondiale e il suo nome di battaglia, indovinate un po’, era Tomcat.
Questa fu l’alba dell’F-14, conosciuto anche come ‘il tacchino’, così chiamato negli anni dai manutentori e dagli equipaggi per la sua particolare conformazione al momento del decollo e dell’atterraggio: un enorme volatile, con il corpo largo e tozzo, accovacciato sul muso, con le ali spiegate e quei piani di coda grandi come le ali di un comune caccia.
Una macchina straordinaria che, grazie all’articolata ala a geometria variabile, permetteva prestazioni incredibili, sia a livello di velocità che di manovrabilità, lasciando un segno indelebile.
Pur tecnicamente avanzato, rappresenta una delle ultime più complesse macchine analogiche e meccaniche, composto da leve e tubazioni idrauliche, il tutto tenuto assieme principalmente dalle ingiuriose imprecazioni del personale di terra, elegantemente riassumibili in ‘velivolo estremamente complesso’.
Questo da una parte creò un legame speciale tra gli equipaggi che lo pilotavano e le squadre di manutentori che ne garantivano il perfetto funzionamento, dall’altra ne decretò la fine.
È interessante scoprire che per ogni ora di volo di un F-14 erano necessarie almeno 40 h/uomo per il controllo e manutenzione degli impianti di bordo!
Il Tomcat però, nonostante fosse un ottimo caccia da superiorità aerea, si portava addosso qualche problemino di troppo, condizionandone l’esistenza; soprattutto nelle prime serie, ereditò molti sistemi dal citato F-111, tra i quali i due turbofan Pratt & Whitney TF-30, con la promessa di un futuro upgrade più prestante per l’impegnativo utilizzo sulle portaerei.
Il loro problema risiedeva nel fatto che fossero stati progettati per un grosso bombardiere, mentre l’F-14 era molto più leggero e manovrabile; infatti, sottoposti alle incontrollate accelerazioni, i due reattori tendevano a grippare e quindi a spegnersi. La disposizione molto distanziata ai lati della piatta fusoliera faceva il resto, portandolo il più delle volte a una vite piatta difficilmente controllabile.
Solo alla fine degli anni 80 furono sostituiti con dei ben più affidabili General-Electric F110, stesso motore dell’F-16 e delle ultime versioni dell’F-15. Erano talmente più potenti ed efficienti da permettere il decollo dal ponte di una portaerei senza l’ausilio del post-bruciatore!
Ma non è finita qui… il Tomcat custodiva un tesoro ingegneristico molto prezioso.
Nascosto sotto la punta si trovava infatti il Huges AN/AWG-9, uno dei più complessi e potenti radar mai installati su un caccia: poteva seguire fino a 24 nemici contemporaneamente e lanciare da oltre 160 km tutti e sei i missili Phoenix che poteva trasportare, seguendone in maniera indipendente il tragitto.
Verso la metà degli anni ’90, per via del pensionamento degli A-6 Intruder e a causa della scarsa autonomia degli F/A-18 Hornet (aggiornati poi nel 2000 a Super Hornet) il Tomcat ricoprì, con piccole modifiche elettroniche, anche il ruolo di bombardiere di punta della marina statunitense!
Fulcro del concetto di ‘Outer Air Battle’, era progettato appositamente per impedire ad un bombardiere sovietico di distruggere uno Strike Group che incrociasse nell’oceano.
Dopo la Guerra Fredda, la U.S. Navy rinunciò alla velocità e alla portata del Tomcat, poiché non avrebbe più dovuto fare i conti con i temuti Tupolev Tu-22 Backfire, antagonisti passati delle portaerei americane.
Tale calo di minacce per il blocco occidentale ed il conseguente calo di budget per la difesa, portarono la marina degli USA a non potersi più permettere un velivolo estremamente impegnativo e delicato come il Tomcat, rinunciando alla presenza di questo caccia da superiorità aerea supersonico e ritagliandogli ruoli sempre più marginali negli strike lanciati dalle portaerei.
Pensionato definitivamente nel 2006, il Tomcat della U.S. Navy abbatté ufficialmente solo 5 velivoli nemici. Poco furbamente, nel 1974 gli USA vendettero ben ottanta F-14 all’Iran per 2 miliardi di dollari. Fu nella successiva guerra fra Iran e Iraq che gli F-14 fecero vedere al mondo la loro vera potenza, aggiudicandosi un totale di 159 vittorie. Addirittura, si racconta che in un combattimento quattro aerei iracheni furono abbattuti dall’esplosione di un unico missile Phoenix.
Solo allora gli USA si resero conto di aver fornito all’Iran un aeroplano eccezionale e, se usato contro di loro, potenzialmente devastante. Proprio per questo oggi non c’è più traccia, se non nei musei, degli F-14 americani: tutti i velivoli in possesso della marina sono stati letteralmente sbriciolati in modo da non dover/poter fornire alcun ricambio agli iraniani, i quali custodiscono con gran riserbo questo iconico cacciabombardiere dalle capacità strategiche che nessuno è stato ancora in grado di rimpiazzare, facendoci quasi dimenticare che non sarebbe mai dovuto esistere.