Per descrivere preliminarmente l’F/A-18 Hornet (che per comodità verrà indicato solo come F-18, come del resto è conosciuto) bisogna saper bene significato ed uso del segno “virgola”. Il perché è presto detto: l’Hornet (“calabrone”) è un caccia multiruolo, bimotore, supersonico, ognitempo, imbarcato, progettato dalla McDonnell Douglas negli anni ’70, presente in versione monoposto (A e C) e biposto (B e D).
Proprio in quegli anni il concorso per un nuovo caccia leggero (il programma LWF, Light Weight Fighter) era stato vinto dalla General Dynamics col suo progetto F-16, che in breve tempo sarebbe entrato in servizio con la United States Air Force. Il novellino della GD non convinceva però la United States Navy: agli occhi della marina un aereo così piccolo non poteva rispondere ai loro requisiti ed inoltre era convinzione diffusa che i caccia imbarcati dovessero avere sempre due motori e un carrello più largo.
Rifiutando un adattamento del 16, la Navy decise di dare fiducia alla proposta scartata nella competizione, l’YF-17, e arruolò Northrop e McDonnell Douglas per riadattarla alle proprie necessità: nacque così il progetto che si sarebbe concretizzato nell’F/A-18 Hornet. L’inusuale denominazione “F/A” deriva dal fatto che inizialmente erano previste due versioni, l’F-18 per la superiorità aerea e l’A-18 per l’attacco al suolo, idea che successivamente venne scartata in favore dell’accorpamento di entrambi i ruoli in un solo velivolo, che entrò in servizio con la marina statunitense nel 1983.
La sfida lanciata all’Hornet era assolutamente folle: esso avrebbe dovuto, nel tempo, sostituire mostri sacri come l’F-14 nel ruolo di caccia e l’A-6 e l’A-7 per l’attacco al suolo.
L’F-18, però, era stato progettato per eccellere in ogni situazione.
Esteticamente, l’Hornet è un aereo molto semplice. Certo, si nota qualche stravaganza, come le due derive di coda non dritte ma inclinate, ma tutto sommato non c’è nulla di particolare che cattura l’attenzione dell’osservatore. Ad un certo punto, tuttavia, lo sguardo inevitabilmente si posa su quei bizzarri “baffi” che dalle semiali proseguono fino ai lati del cockpit. A cosa mai potranno servire?
Conosciute come LEX (Leading Edge Extensions, estensioni del bordo d’attacco), esse sono di fatto la più grande novità aerodinamica inserita in questo caccia, poiché tali prolungamenti contribuiscono ad una delle caratteristiche più apprezzate di questo velivolo, ovvero la capacità di mantenere un’ottima manovrabilità anche ad elevati angoli d’attacco.
Essendo principalmente un caccia imbarcato, l’F-18 viene fatto decollare dal ponte delle portaerei grazie all’accelerazione impressa dalla catapulta: durante questa manovra il pilota tiene la mano sinistra sulla manetta e quella destra aggrappata saldamente ad una maniglia posta in alto. Non serve che afferri la barra di comando, poiché il sofisticato computer di bordo entra in funzione appena l’Hornet si stacca dal ponte di decollo e si assesta automaticamente sull’angolo d’attacco ideale di 8,1 gradi. Solo a questo punto il pilota impugna la cloche con la mano destra e punta il muso del caccia verso l’alto, che guizza nel cielo accompagnato dal ruggito dei suoi due motori turboventola General Electric F404, proiettandolo nel blu celeste grazie ai 49 kN di spinta ciascuno, 79 se si utilizza il postbruciatore. In un battito di ciglia l’Hornet è già in quota ed è pronto a rombare alla velocità massima di Mach 1,8 verso il suo obiettivo.
Il radar AN/APG-73 ne acuisce la vista e consente di individuare bersagli distanti fino a 160 miglia, che potranno poi essere ingaggiati con missili aria-aria Sparrow o AMRAAM. Nel dogfight l’F-18 ha pochi rivali, grazie alla sua eccellente manovrabilità a basse velocità che consente di spremere il massimo dai missili a infrarossi Sidewinder e dal suo cannone interno da 20 mm.
Se invece la missione prevede un attacco su bersagli di terra o navali, l’Hornet può utlizzare un’enorme varietà di armi per adattarsi all’obiettivo: si possono impiegare ovviamente le classiche bombe a caduta libera e pod di razzi, ma in scenari di guerra sempre più asimmetrici hanno preso piede le munizioni di precisione, che garantiscono di centrare l’obiettivo e, soprattutto, di minimizzare i danni collaterali. In particolare, l’F-18 può trasportare bombe a guida laser della serie Paveway, bombe a guida GPS (sia le JDAM che le JSOW), missili anticarro AGM-65 Maverick, missili anti-nave Harpoon e anti-radar HARM. Tutto questo può essere montato su un totale di nove attacchi, di cui due sulla punta delle semiali (riservati ai Sidewinder), quattro piloni subalari e tre posizionati ai lati e sotto la fusoliera. Sono anche trasportabili serbatoi supplementari e diversi pod per l’acquisizione di bersagli, come il LITENING e l’ATFLIR.
Svolta la sua missione, l’Hornet deve tornare alla sua portaerei: il gancio d’arresto posteriore consente l’appontaggio in spazi brevi e il carrello rinforzato è progettato per resistere alle sollecitazioni elevate di questa manovra. Le semiali sono ripiegabili per occupare meno spazio sul ponte e nell’hangar.
Negli anni 2000 l’F/A-18 Hornet ha subito un radicale redesign: partendo dalla sua versatilissima cellula, è stato sviluppato l’F/A-18 Super Hornet (versione E monoposto e F biposto). La somiglianza estetica non deve ingannare, in quanto il Super Hornet è un’estensiva modifica del suo predecessore.
Entrato in servizio nel 2001, il Super Hornet è di dimensioni maggiori dell’Hornet, per poter far spazio a carburante aggiuntivo, e presenta due piloni subalari aggiuntivi; le caratteristiche Leading Edge Extensions sono più larghe e le prese d’aria sono di forma squadrata rispetto a quella ovale dell’Hornet. I motori F404 sono sostituiti dalla loro versione migliorata F414 e infine sono state apportate numerose modifiche per diminuire la traccia radar del velivolo.
La versatilità di questo cacciabombardiere è comprovata anche dalla versione EA-18G Growler, in pratica un Super Hornet trasformato in aereo da guerra elettronica.
Da quando è entrato in servizio, l’F-18 ha partecipato a tutti i conflitti in cui sono stati coinvolti gli Stati Uniti, come le due guerre del Golfo e la guerra in Afghanistan, ed è inoltre il velivolo con cui si esibiscono i Blue Angels, la pattuglia acrobatica della marina militare americana.
Largamente esportato all’estero, in particolare Canada, Australia, Svizzera e Spagna, questo aereo ha dimostrato e continua dimostrare la sua efficacia in tutto il globo terrestre, avendo fatto suo il termine “versatilità” e senza aver mai lesinato sulla “qualità”.