Nel settembre 1989 un team di cacciatori di uragani della NOAA (National Oceanic and Atmospherice Administration) intercettò l’uragano Hugo al largo dei Caraibi, poco prima che esso si schiantasse sulle coste degli Stati Uniti.
L’equipaggio del NOAA 42 “Kermit” era composto da personale altamente qualificato: il comandante, Lowell Genzlinger aveva penetrato 249 uragani in passato. Il suo copilota era un veterano della Marina Militare nuovo nel campo della caccia di uragani e solo al suo secondo anno nel settore, come l’ingegnere di volo Steve Wade, anch’egli nella cabina.
Il resto dell’equipaggio era completato da meteorologi, ingegneri e tecnici di vario tipo, per un totale di dieci persone a bordo. Gli aerei erano dei Lockheed P-3 Orion quadrimotore turboelica, un modello sviluppato per il pattugliamento e le rilevazioni marittime.
La missione quel giorno prevedeva due velivoli ad altitudini differenti: il NOAA 42 a bassa quota, tra i 400 ed i 500 metri, mentre un secondo aereo, il NOAA 43, li avrebbe seguiti ad un’altitudine di circa 6000 metri.
Volare a bassa quota all’interno di un uragano è rischioso a causa di diversi fattori: i venti sono tendenzialmente più forti, ed in caso di perdita di controllo o forti venti discendenti, si ha meno tempo e spazio di manovra per evitare un impatto con la superficie del mare.
Poco dopo l’ingresso nelle nubi temporalesche, un membro del team scientifico riportò un guasto al radar principale, situato sotto la fusoliera. Questo, oltre a mettere in pericolo il volo a causa dell’impossibilità di stabilire un’altitudine di sicurezza e l’esatta forza dell’uragano, risultava molto grave per la missione scientifica, siccome rendeva impossibile raccogliere numerosi dati fondamentali ai fini della comprensione di Hugo e dei suoi movimenti futuri.
In seguito ad una breve discussione l’equipaggio decise di continuare la traversata delle nubi nell’attesa che il guasto venisse riparato dagli ingegneri a bordo.
Dopo circa 20 minuti il problema venne risolto e la situazione tornò nominale. Intanto l’aereo si stava avvicinando al muro di nubi temporalesche che sono solite avvolgere l’occhio della tempesta: venne quindi chiamata la “Condizione 1”, ovvero un annuncio che segnala di bloccare tutto ciò che si trova a bordo del velivolo, di sedersi ed assicurarsi le cinture.
Una volta dentro alle nubi, la visibilità diminuì quasi del tutto e calò l’oscurità all’interno dell’aereo. Forti turbolenze iniziarono a scuotere l’intera struttura, e dai dati raccolti si stabilì che l’uragano Hugo non era di forza tre come previsto dalle osservazioni satellitari, bensì almeno di categoria quattro, con venti oltre 252 km/h e pressioni sotto le 0.94 atmosfere.
Dopo un altro minuto di volo i dati peggiorarono, i venti raggiunsero quasi i 300 km/h e la pressione scese sotto le 0.92 atmosfere: Hugo divenne di categoria 5, la massima possibile.
Arrivati al bordo del muro temporalesco, vicini all’occhio, forti venti ascendenti e discendenti applicarono prima un’accelerazione ascendente di 5.5 g e quasi immediatamente dopo di 3.5 g in direzione opposta. Il velivolo era progettato per resistere a forze di +3g o -2g: fu praticamente un miracolo che la struttura resistette, ma il comandante perse il controllo e l’aereo cominciò a precipitare; pochi istanti dopo uscirono dalle nubi e si trovarono nell’occhio del ciclone, di conseguenza fu possibile riprendere controllo del velivolo.
Immediatamente iniziò un’ispezione dei danni: il motore numero 3 era in fiamme e dal numero 4 pendeva qualcosa. Essendo entrambi situati sullo stesso lato era impossibile spegnerli tutti e due e sopravvivere; quindi, si decise di interrompere l’afflusso di carburante solo verso il motore 3. In questa situazione l’aereo si trovava a volare a circa 270 metri sul livello del mare.
Dopo alcune manovre i piloti portarono il velivolo su una rotta a spirale ascendente all’interno dell’occhio, per allontanarsi dal pericolo immediato. Il problema era che senza un motore sarebbe stato loro impossibile salire a sufficienza di quota carichi di carburante; quindi, dovettero iniziare un’operazione di scarico per alleggerirsi, per poi continuare la manovra. Contemporaneamente l’equipaggio si mise in contatto con NOAA 43, per aggiornarli della situazione.
Alcuni minuti dopo le rotte dei due aerei si incrociarono, e seguendo le regole del volo a vista il NOAA 43 si avvicinò il più possibile al velivolo in pericolo, per aggiornarli sulle condizioni del motore 4 da un punto di vista esterno: per fortuna il dispositivo anti-congelamento danneggiato si era staccato del tutto senza provocare ulteriori danni.
Venne inoltre chiesto al NOAA 43 di penetrare il muro di nubi in vari punti per cercare un passaggio il meno pericoloso possibile al NOAA 42, ancora in volo circolare all’interno dell’occhio senza possibilità di fare alcunché.
Al terzo tentativo individuarono un punto situato nel lato nord-est dell’occhio, sicché l’equipaggio del velivolo danneggiato decise di provare il tutto per tutto: penetrarono le nubi ad un’altitudine di circa 2100 metri, impossibilitati a salire oltre.
Poco dopo uscirono dall’uragano e raggiunsero la base militare da cui erano partiti.
I dati raccolti furono di fondamentale importanza per lo studio dei fenomeni metereologici come gli uragani, ed in seguito all’allarme diramato dalle autorità fu possibile salvare molte vite sulla costa, poiché fu proprio grazie a questi voli che si conobbe l’intensità di Hugo prima che impattasse sugli Stati Uniti.
Analisi al velivolo svolte successivamente evidenziarono diversi problemi di manutenzione e certificarono la correttezza dei dati letti sulle forze G subite in volo, rendendo di fatto un vero miracolo ingegneristico la sopravvivenza dell’intero equipaggio.
Fonti: fws.gov, weather.com, flickr.com